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Apollo 1 – 50 anni fa la tragedia

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Ed White, Gus Grissom, e Roger Chaffee posano con il modellino del modulo Apollo 1. Credits: NASA

Era il 27 gennaio del 1967, esattamente 50 anni fa. Tre uomini, tre astronauti, il primo equipaggio per la nuova capsula Apollo, perirono a causa di un incendio scoppiato improvvisamente durante la missione Apollo 1 (ex Apollo 204).

Virgil “Gus” Grissom, Ed White e Roger Chaffee, furuno i primi tre astronauti americani a morire nell’ambito di un programma spaziale NASA.

«È altrettanto importante considerare l’Apollo 1 come un lancio che non ha avuto luogo, ma che è stato, per molti versi, più importante di qualsiasi altro che ha volato. Ha rallentato le cose, ma ci ha dato modo di raggiungere una maggiore affidabilità». Mike Collins (astronauta, missioni Gemini 10 e Apollo 11).

L’incidente di Apollo 1 fu provocato da una serie di sfortunati eventi a catena. In breve, l’atmosfera all’interno della capsula, costituita da ossigeno puro e portata a 14kpa sopra la pressione atmosferica terrestre, accelerò e amplificò l’incendio, innescato da una scintilla elettrica partita da un cavo di rame rimasto privo della propria guaina isolante per l’usura generata dalle continue aperture e chiusure del portello di entrata.
Tutti i materiali all’interno della capsula avevano proprietà ignifughe, ma non per le condizioni che erano state create in cabina, appunto, l’ossigeno puro e la pressione così alta.

Benché le fiamme sviluppate avessero avvolto gli astronauti iniziando a fondere le tute e tutto quello che si poteva fondere all’interno del capsula, gli astronauti non morirono di ustioni, bensì per l’inalazione venefica dei fumi e del monossido di carbonio generati dalla combustione.
Tutto avvenne in soli 17 secondi, secondi interminabili preceduti dalle grida di dolore degli astronauti.

«Dalle ceneri del fuoco dell’Apollo 1 è arrivata la dura lezione che la NASA ha dovuto imparare per riuscire ad arrivare con successo sulla Luna e in seguito all’esplorazione dello spazio. Sono davvero orgogliosa di essere qui oggi con tutti voi per rendere omaggio a mio padre, ai suoi compagni e tutti gli astronauti caduti, ricordati sullo Space Mirror Memorial».
Sheryl Chaffee (figlia di Roger Chaffee, ha lavorato anche lei alla NASA per 33 anni).

Alle 18,31 ora locale Grissom esclamò qualcosa come “hey” o “fire” e due secondi dopo Roger Chaffie dette l’allarme con la storica e agghiacciante frase: “Fire! We’ve got fire in the cockpit!” cioè “Fuoco! C’è del fuoco nella cabina!”
Le procedure di emergenza per liberare la cabina richiedevano 90 secondi, troppi per rispondere ad una situazione del tutto nuova e imprevista.

Il modulo Apollo 1 dopo il tragico incidente. Credit: NASA

Il portellone della capsula, concepito per aprirsi verso l’interno e solo a cabina depressurizzata condannò i tre uomini alla morte e li consegnò alla storia come i primi (e purtroppo non ultimi) astronauti NASA deceduti in missione (sebbene quella di Apollo 1 fosse in realtà un’esercitazione, poi trasformata in missione ufficiale per onorare la memoria del terzetto).

L’incidente gettò molti dubbi sulla possibilità di realizzare l’obiettivo fissato dal compianto Presidente Kennedy di raggiungere la Luna prima della fine del 69. La NASA sequestrò ogni cosa intorno all’area di lancio e istituì una commissione per fare luce sulle cause dell’incidente.
La capsula Apollo fu riprogettata nuovamente e vennero risolti 1407 problemi di collegamento, la pressurizzazione non fu più di 14 kpa sopra il valore di pressione atmosferica, ogni cavo, elettrico o idraulico fu rivestito di isolante e tutti quello che poteva incendiarsi venne sostituito con materiali totalmente ignifughi e soprattutto il portellone di accesso fu riprogettato per aprirsi verso l’esterno.

© 2017 by Paolo Miniussi – Octobersky.it  (http://www.octobersky.it). Distribuzione libera, purché sia inclusa la presente dicitura.

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