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Le Costellazioni di Aprile 2024

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COSTELLAZIONI DI APRILE 2024

… Poi venne l’aprile, alba dell’estate. La natura, in quel mese, ha incantevoli bagliori che passano dal cielo, dalle nubi, dagli alberi, dai prati e dai fiori nel cuore dell’uomo.

I Miserabili- Victor Hugo

LA COSTELLAZIONE DEL LEONE NEL CIELO DI APRILE

Uno degli asterismi protagonisti del cielo primaverile, che transita al meridiano proprio intorno al 15 di aprile, è certamente quello del Leone: la costellazione è posta tra il Cancro e la Vergine, osservabile già dalla prima serata,e per riconoscerla sarà sufficiente trovare la tipica forma trapezoidale che la identifica, di cui la stella Regolo (alfa Leonis) costituisce uno dei suoi vertici (quello orientato a Sud-Ovest).

Regolo è un sistema stellare composto da quattro stelle divise in due coppie; con la sua magnitudine +1,40 è la ventunesima stella più luminosa del cielo notturno.

Dista circa 79 anni luce da noi e la sua vicinanza all’Equatore celeste fa sì che possa essere osservata da tutte le aree popolate della Terra.

Con il suo colore bianco-azzurro, Regolo è facilmente individuabile nelle serate primaverili: insieme ad altre stelle della costellazione del Leone, alfa Leonis va a comporre un noto asterismo chiamato Falce: si tratta di una figura molto brillante, nota anche come Falce Leonina, la cui forma richiama appunto quella dell’oggetto di cui porta il nome.

Il vertice Sud-Orientale della costellazione del Leone è costituito dalla stella Denebola, che rappresenta la coda dell’animale: è una delle stelle più vicine a noi, trovandosi a 36 anni luce di distanza e, con la sua luce bianca, è circa 17 volte più luminosa del Sole.

Denebola è una stella variabile della tipologia Delta Scuti, con una luminosità che varia leggermente nel giro di poche ore: da studi cinematici risulta che Denebola potrebbe essere una componente di un’associazione stellare di cui fanno parte anche Alpha Pictoris, Beta Canis Minoris e l’ammasso aperto IC 2391.

GLI OGGETTI DEL PROFONDO CIELO NELLA COSTELLAZIONE DEL LEONE

GALASSIA A SPIRALE NGC 2903 CREDITI: ESA/Hubble, NASA e L. Ho, J. Lee e il team PHANGS-HST

La costellazione del Leone ospita diversi oggetti non stellari come le galassie M65, M66, M105 e NGC 2903: quest’ultima, oltre ad essere una galassia a spirale barrata, è anche l’oggetto più brillante della costellazione e possiamo ammirarne i dettagli nell’incredibile immagine ad alta risoluzione catturata dal Telescopio Spaziale HUBBLE, attraverso l’utilizzo della Advanced Camera for Surveys (ACS) e la Wide Field Camera 3 (WFC3).

TRIPLETTO DEL LEONE CREDITI: Soumyadeep Mukherjee

Le Galassie M66, M65 e NGC 3628  formano il Tripletto del Leone, che si trova a 35 milioni di anni luce dalla Terra, apprezzabile nell’immagine realizzata dall’astrofilo Soumyadeep Mukherjee.

NGC 3628 CREDITI: Soumyadeep Mukherjee

 

Entro i confini della costellazione sono stati scoperti anche diversi sistemi planetari: attorno alla nana rossa Gliese 436, posta a 33 anni luce dal Soleorbita un pianeta la cui massa è simile a quella di Nettuno; vi è poi la stella HD 102272 attorno alla quale orbitano due pianeti di tipo giovano.

IL LEONE NELLA MITOLOGIA

Nota già ai tempi dei Babilonesi per la sua identificazione con il Sole, poiché ospitava il Solstizio d’Estate, la costellazione del Leone è mitologicamente legata alla figura di Ercole: secondo il mito, la dea Era possedeva un famelico leone che tormentava il popolo di Nemea; l’animale, dotato di una spessa e invulnerabile pelliccia, sembrava essere immune a qualsiasi arma.

Nell’impresa di cacciarlo e ucciderlo vi riuscì solamente Ercole, che dopo aver sconfitto la feroce bestia, la scuoiò, indossando da quel momento la pelliccia impenetrabile del leone. La fierezza dell’animale fu tramutata in stelle da Zeus, che collocò la sua figura sulla volta celeste.

Leone ed Ercole Crediti MARCO ANTONIO PRESTINARI

LA COSTELLAZIONE DEI CANI DA CACCIA

Nel cielo di aprile incontriamo un’altra costellazione, posta tra il Boote e l’Orsa Maggiore: si tratta della costellazione boreale dei Cani da Caccia (Canes Venatici): l’asterismo fa parte del cielo primaverile, la sua stella principale, α Canum Venaticorum, è nota come Cor  Carolied è una stella doppia bianca di magnitudine 2,89, distante 110 anni luce, risolvibile già con un piccolo telescopio.

Beta Canum Venaticorum(Asterion) è una stella gialla di magnitudine 4,24, distante 27 anni luce mentre Y Canum Venaticorum, nota anche come La Superba, è una stella variabile di magnitudine media 5,42 che si trova a una distanza di 710 anni luce.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE

La costellazione dei Cani da Caccia ospitaun oggetto del profondo cielo davvero affascinante: la galassia spirale M51, detta anche Galassia Vortice.

GALASSIA VORTICE M51 CREDITI: SOUMYADEEP MUKHERJEE

Si tratta di una delle galassie più brillanti, la cui luminosità è dovuta alla presenza di giovani stelle brillanti azzurre che ne popolano i bracci; è un oggetto molto amato dagli astrofili e nell’osservazione si presenta di fronte, rendendosi visibile con un buon binocolo e un telescopio di discreta apertura.

M51 possiede anche una piccola galassia satellite, NGCC 5195, che rappresenta quasi la continuazione di uno dei bracci della spirale. Questo sistema dista da noi circa 20 milioni di anni luce.

Un gruppo di ricercatori del Center for Astrophysics di Harvard (Stati Uniti) ha scoperto, attraverso i telescopi spaziali Chandra e Xmm-Newton per raggi X, un possibile pianeta extragalattico grande come Saturno, che orbita ogni 70 anni attorno a una binaria X (M51-ULS-1) a 28 milioni di anni luce da noi, proprio nella Galassia Vortice.

MESSIER 94 CREDITI: ESA/Hubble e NASA

A circa 16 milioni di anni luce di distanza, nella costellazione dei Cani da Caccia, è situata una galassia dall’aspetto mozzafiato: si tratta di Messier 94, da ammirare nell’immagine super dettagliataripresa dal celebre Telescopio Spaziale HUBBLE.

Altro oggetto che può considerarsi tra i più belli del profondo cielo è senza ombra di dubbio Messier 3: si tratta di un ammasso globulare che contiene mezzo milione di stelle, molte delle quali variabili, e che risulta essere uno dei più grandi e luminosi mai scoperti.

MESSIER 3 CREDITI:ESA/Hubble e NASA, G. Piotto et al.

I CANI DA CACCIA TRA MITO E STORIA

Nel 1687 l’astronomo polacco Johannes Hevelius formò la costellazione dei Cani da Caccia, inserendola tra il Boote e l’Orsa Maggiore, una regione di cielo a suo dire troppo vuota che bisognava integrare con un oggetto che comprendesse anche la stella Cor Caroli, Cuore di Carlo ( II d’Inghilterra).

Perché la scelta fosse ricaduta proprio su due cani da caccia non è ben chiaro: essi vengono attribuiti ora Boote, che li tiene al guinzaglio, e ora all’Orsa maggiore, minacciata da essi.

Un’altra storia ci porta negli intrighi della corona inglese, dove il medico di corte Charles Scarborough, denominò una stella Cor Caroli, in onore di Carlo I, in seguito alla sua decapitazione durante la guerra civile inglese.

Successivamente Edmund Halley associò l’astro a Carlo II, salito al trono dopo la morte del padre; egli accolse con entusiasmo che il suo nome fosse tra le stelle e, mosso forse da una certa riconoscenza nei confronti di Halley, decise di dare il via alla realizzazione di uno dei più illustri osservatori: l’Osservatorio Astronomico di Greenwich.

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SUPERNOVAE: aggiornamenti Aprile 2024

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RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 119

Come abbiamo visto nelle precedenti rubriche, le scoperte amatoriali di questi primi tre mesi del 2024 sono arrivate dal Giappone con le due scoperte del grande Koichi Itagaki (181 scoperte in totale) e con quella di Hidehiko Okoshi alla sua prima scoperta, ma anche dagli Stati Uniti con il sigillo messo a segno dal veterano Patrick wiggins (9 scoperte in totale). Chi si è distinto però, per il maggior numero di scoperte, in questo primo trimestre dell’anno, sono stati i cinesi del programma XOSS, capitanati da Xing Gao, che hanno ottenuto ben sei successi (per un totale di 93 scoperte). Le sei scoperte cinesi sono purtroppo poco appariscenti sia per la luminosità raggiunta, che per la bellezza della galassia ospite. Fanno però eccezione due di loro che analizzeremo adesso. La prima supernova interessante risale al 5 febbraio, quando brillava appena di una luminosità pari alla mag.+18,5 individuata nella galassia a spirale NGC3780 posta nella costellazione dell’ Orsa Maggiore a circa 100 milioni di anni luce di distanza e accompagnata in cielo, solo prospetticamente, dalla galassia a spirale barrata NGC3804 situata più vicino a circa 70 milioni di anni luce. Nella notte del 7 febbraio, dall’osservatorio del Roque de los Muchachos a La Palma nelle Isole Canarie in Spagna, con il Telescopio Isaac Newton da 2,5 metri del programma GOTO Gravitation-wave Optical Transient Observer è stato ripreso lo spettro di conferma, che ha permesso di classificare la SN2024btj come una giovane supernova di tipo II. La luminosità del nuovo transiente è infatti aumentata lentamente fino a raggiungere la mag.+16 intorno al 25 febbraio. Questa è la terza supernova conosciuta in NGC3780. Le due precedenti furono la SN1992bt scoperta il 19 dicembre 1992 dagli astronomi americani Treffers, Leibundgut e Filippenko dell’Università della California a Berkeley e da Michael Richmond dell’Università di Princeton, facenti parte del programma di ricerca supernovae denominato LOSS Lick Observatory Supernovae Search  e la SN1978H scoperta il 7 novembre 1978 dall’astronomo svizzero Paul Wild.

1) Immagine della SN2024btj ripresa dall’astrofilo inglese Damian Peach con un telescopio Dall-Kirkam da 430mm – Esposizione LRGB per un totale di 3 ore.
2) Immagine della SN2024btj ripresa dall’astrofilo francese Robert Cazilhac con un telescopio C14 F.11 somma di 300 immagini da 5 secondi.
3) Immagine della SN2024btj ripresa dall’astrofilo inglese Nich Haigh con un telescopio Newton da 300mm.

La seconda supernova cinese, che merita un approfondimento, è stata individuata nella notte del 29 febbraio nella galassia a spirale UGC2526 posta nella costellazione del Perseo a circa 220 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità molto debole pari alla mag.+19,4. Nella notte del 2 marzo gli astronomi cinesi del Yunnan Observatory, con il telescopio Lijiang di 2,4 metri, hanno ripreso lo spettro di conferma, classificando la SN2024dlk come una supernova di tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità. Ed infatti intorno alla metà di marzo è stato raggiunto il massimo di luminosità a mag.+15,5. Questa è la seconda supernova conosciuta in UGC2526, la prima fu la SN2005ek scoperta il 24 settembre del 2005 dal programma americano di ricerca supernovae denominato LOSS.

4) Immagine della SN2024dlk ripresa da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 esposizione di 35 minuti.
5) Immagine della SN2024dlk ripresa da Claudio Balcon con un telescopio Newton da 410mm F.5,5 somma di 10 immagini da 60 secondi.

Concludiamo la rubrica con una scoperta che ci riguarda più da vicino. Nella notte del 12 marzo gli astrofili Mirco Villi e Michele Mazzucato, che collaborano da diversi anni con i professionisti americani del CRTS Catalina, hanno individuato una debole stellina di mag.+19 analizzando immagini professionali realizzate con il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona. La galassia ospite NGC6433 è una spirale, posta nella costellazione di Ercole a circa 320 milioni di anni luce di distanza. Nella notte del 19 marzo dal Palomar Observatory in California con il telescopio da 1,5 metri è stato ottenuto lo spettro di conferma, che ha permesso di classificare il nuovo oggetto come una supernova di tipo Ia, assegnandole la sigla definitiva SN2024efn. La supernova ha raggiunto il suo massimo di luminosità intorno al 20-25 marzo a mag.+16.

6) Immagine della SN2024efn ripresa da Claudio Balcon con un telescopio Newton da 410mm F.5,5 somma di 10 immagini da 60 secondi.

Ultima ora: L’incredibile giapponese Koichi Itagaki continua a stupire individuando un nuovo transiente nella galassia a spirale NGC4192A. Il primo ad ottenere lo spettro è stato il nostro Claudio Balcon, dopo appena sei ore dalla scoperta. E’ ancora troppo presto per dare una classificazione definitiva, anche se quasi sicuramente si tratterà di una supernova giovanissima di tipo II. Approfondiremo la scoperta nella prossima rubrica, ma la segnaliamo subito perché la galassia ospite è vicinissima alla stupenda galassia Messier 98. Nel giorno della scoperta la Luna Piena si trovava a pochi gradi di distanza. Quando si allontanerà,  potremmo riprendere delle stupende immagini.

Ed ecco appena giunto in redazione lo scatto di Riccardo Mancini proprio sulla SN2024exw in NGC4192A.

7) Immagine della SN2024exw in NGC4192A ripresa da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 esposizione di 75 minuti.

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News da Marte #27

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Bentornati su Marte! Dopo esserci purtroppo lasciati alle spalle la missione di Ingenuity, il cui epilogo ha occupato una parte importante di queste cronache, possiamo tornare a dedicare le giuste attenzioni alle attività di Perseverance. Il rover è stato impegnato nell’analisi di una roccia abbastanza particolare il cui studio è culminato nel prelievo di un campione. Ci sono delle novità che riguardano la camera SHERLOC, e infine vi racconto di una ricerca pubblicata a metà mese che ha individuato un enorme vulcano sul Pianeta Rosso. Si nascondeva in una regione di Marte studiata da praticamente mezzo secolo…

Si parte!

Bunsen Peak, una nuova roccia per Perseverance

Il nostro amato rover non si sta muovendo granché, con l’ultimo spostamento di una certa entità che è stato svolto il 7 febbraio (Sol 1055). La posizione corrente, raggiunta dopo quasi 2500 metri percorsi attraverso la Marginal Unit in varie tappe nel corso di circa 60 Sol, è la stessa da cui il rover ha condotto le dettagliate osservazioni di Ingenuity raccontate in News da Marte #26.

Posizione di Perseverance aggiornata al 23 marzo nella mappa fornita dalla NASA nel sito della missione. A questo livello di zoom si riesce a includere l’intero spostamento compiuto sin qui all’interno della Marginal Unit da est verso ovest. NASA/JPL-Caltech
Dettaglio dei più recenti spostamenti di Perseverance. Il marker è relativo alla posizione del 7 febbraio

È proprio il 7 febbraio che il rover, durante le osservazioni di routine che svolge con le camere di navigazione per documentare l’area circostante, inquadra per la prima volta la roccia che i tecnici denomineranno Bunsen Peak. Il nome fa riferimento all’omonima montagna di 2610 metri all’interno del parco nazionale di Yellowstone nel territorio del Wyoming, al confine con il Montana.

La roccia Bunsen Peak evidenziata nel cerchio rosso. Left NavCam, Sol 1055. NASA/JPL-Caltech/Piras

Bunsen Peak, spiccando in modo così evidente rispetto alle rocce circostanti (è addirittura visibile dall’orbita grazie all’occhio acuto di Mars Reconnaissance Orbiter), ha attirato presto le attenzioni del team scientifico. Le peculiarità non si fermano però alle dimensioni, e per osservarle meglio serve che saliamo metaforicamente a bordo del rover e ci avviciniamo. Nel Sol 1066 Perseverance si è approcciato per la prima volta alla roccia e ha poi ridotto ulteriormente la distanza nel 1068 (18 febbraio) quando ha scattato questo mosaico.

Ripresa ravvicinata di Bunsen Peak scattata nel Sol 1068 con la Front Left HazCam. NASA/JPL-Caltech/Piras

Da vicino Bunsen Peak svela alcune peculiarità interessanti, come ad esempio la struttura superficiale nella sua parte sinistra. Il lato destro invece si presenta quasi verticale e il colore scuro rispetto al resto della roccia è indicativo di porzioni sulle quali è presente pochissima sabbia. Questa relativa pulizia rappresenta un vantaggio per le osservazioni scientifiche, perché permette di rilevare dati migliori sulla chimica della roccia. Un’ulteriore particolarità di una faccia verticale come questa è che offre una visione in sezione del masso, fornendo indizi agli scienziati sulla struttura interna e su potenziali stratificazioni.

Un altro mosaico di Bunsen Peak costituito da circa 50 immagini della Left MastCam-Z, Sol 1069. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Le indagini proseguono e nel Sol 1071 il rover inizia osservazioni davvero ravvicinate. È il momento di mettere in azione la camera WATSON, ospitata in cima al braccio robotico, che permette macro estremamente dettagliate. Perseverance esegue una serie di acquisizioni a distanza variabile mettendo in evidenza la struttura superficiale della roccia oggetto d’indagine.

WATSON in azione, osservata dalla Front Left HazCam nel Sol 1071. NASA/JPL-Caltech/Piras
Collage di acquisizioni macro di WATSON, Sol 1071. NASA/JPL-Caltech/Piras
Le riprese più ravvicinate di WATSON evidenziano queste strane concrezioni. NASA/JPL-Caltech/Piras

Al massimo livello di zoom si notano delle minuscole sfere sul lato della roccia orientato verticalmente. Escluso che si tratti di cristalli, che non crescono in questo modo, un’altra ipotesi è che siano particelle sollevate e trasportate dal vento. Ma anche questa spiegazione è da scartare perché non c’è una sostanza “collosa” organica che permetterebbe a queste sferette di attaccarsi a una parete verticale.

La spiegazione formulata da Steve Ruff, geologo planetario dell’Arizona State University, è che questa superficie fosse un tempo parte di una frattura e di un affioramento prima di essere consumata dal vento e ridotta ora a questo masso. I granelli di sabbia intrappolati all’interno della frattura si sarebbero cementati venendo inclusi nella roccia, forse grazie agli stessi sali che attualmente formano concrezioni, sebbene molto meno solide, nella sabbia. Abbiamo un esempio di questo particolare fenomeno grazie a un sasso che le ruote di Perseverance hanno smosso durante l’avvicinamento a Bunsen Peak.

Differente ritaglio dell’immagine vista poco sopra. Si evidenzia la sabbia cementata che il rover ha smosso spostando un sasso con la sua ruota anteriore sinistra. NASA/JPL-Caltech/Piras

Nei successivi Sol le attività del rover includono anche dei mosaici di fotografie acquisite con le MastCam-Z, ve ne propongo un paio.

Il primo è una ampissima visione del terreno tutto attorno a Perseverance, che tramite 45 scatti copre quasi 350° orizzontalmente.

Left MastCam-Z, Sol 1078. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Il secondo mosaico è una combinazione di 72 immagini che ritraggono la regione a est del rover.

Sol 1085. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Come spesso accade, il rover ha acquisito queste immagini scattando contemporaneamente con entrambe le MastCam-Z. Con un’ulteriore elaborazione è possibile affiancare i due mosaici e ottenere l’effetto di profondità di una foto stereo, apprezzabile con i comuni occhialini 3d color magenta e ciano.

Per questa immagine e le precedenti vale il consiglio, se possibile, di apprezzarle su un grande schermo e a piena risoluzione.

Trapano in azione

Dopo le analisi preliminari con gli strumenti di imaging, gli scienziati hanno deciso di voler indagare l’interno di Bunsen Peak.

Il Sol 1080 (4 marzo) è stato quindi dedicato a un’abrasione eseguita con una punta particolare che Perseverance può installare sul trapano. L’operazione di fresatura superficiale della roccia dura circa 22 minuti, che possiamo osservare condensati in un video grazie alla soggettiva dal basso catturata dalle HazCam frontali.

Sol 1080, dettaglio della fresa impiegata per l’operazione. Il diametro è di circa 5 cm. NASA/JPL-Caltech

 

Seguono ulteriori osservazioni fotografiche: qui di seguito ho raccolto un paio di immagini della camera WATSON, una della Right MastCam-Z e una della Left NavCam.

Macro della camera WATSON sulla abrasione eseguita su Bunsen Peak circa trenta minuti prima, Sol 1080. NASA/JPL-Caltech/Piras
Right MastCam-Z, Sol 1082. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras
Immagine della Left NavCam, Sol 1080. NASA/JPL-Caltech/Piras

Al termine di alcuni giorni marziani di ulteriori osservazioni (anche notturne, grazie agli illuminatori a LED montati su WATSON) i tecnici NASA hanno avviato le procedure per compiere un prelievo tramite la perforazione della roccia Bunsen Peak. Era dal 14 ottobre che il rover non eseguiva tale operazione, dopo che nel Sol 942 aveva estratto il campione Lefroy Bay.

Operazione di prelievo del campione Lefroy Bay dalla roccia Turquoise Bay, Sol 942. NASA/JPL-Caltech

Ma prima di far mettere al lavoro Perseverance, i tecnici hanno inaspettatamente deciso di indagare sullo stato di un vecchio campione. Era stato estratto oltre due anni fa e mai sigillato all’interno di una delle fiale in titanio a disposizione del rover, studiate per custodire rocce e sabbia in attesa del loro invio verso la Terra nel prossimo decennio. Nel corso di quel prelievo, eseguito il 6 marzo del 2022, era accaduto che parte del carotaggio di roccia fosse andato a bloccarsi tra i denti della punta e il meccanismo interno cavo. Non avevano avuto successo i tentativi di azionare nuovamente il trapano a vuoto per cercare di disincastrare il campione, che da allora era rimasto all’interno della punta.

Naturalmente le operazioni di Perseverance non si sono interrotte in quanto il rover dispone di un set di sei punte intercambiabili e perfettamente identiche tra loro, riposte all’interno della ruota del carousel.

Immagine del campione incastrato all’interno della punta in una foto del marzo 2022, Sol 371. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Si ipotizzava forse che dopo due anni di intensi spostamenti il campione si potesse essere smosso oppure si fosse contratto o spezzato, ma così non è stato. Il personale in controllo del rover non ha potuto far altro che prendere atto del fatto che, probabilmente, quel pezzo di roccia resterà all’interno di Perseverance per sempre!

Perseverance osserva nuovamente il campione “problematico” dopo due anni, Sol 1086. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Una volta sostituita la punta con una nuova e non ostruita, il Sol 1088 di missione il rover può finalmente eseguire l’operazione di prelievo su Bunsen Peak che dura complessivamente 32 minuti. Si tratta di un tempo superiore di circa il 50% rispetto al solito, dovuto forse alla significativa durezza della roccia.

Il video del prelievo è composto da due inquadrature combinate in modo da mostrare in alta risoluzione il punto di foratura ma anche lo scivolamento verso sinistra della polvere che va a schiarire la superficie della roccia. Seguono alcune foto di routine per verificare il successo dell’operazione, dopodiché il campione viene spostato verso i meccanismi di manipolazione della fiala che hanno il compito di fotografare e sigillare il campione.

 

Conferma del successo dell’operazione, Sol 1086. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras
La CacheCam prima fotografa il campione per verificarne il volume (immagine a sinistra) e successivamente documenta il numero di serie del tappo che ha appena chiuso ermeticamente la fiala. Sol 1086. NASA/JPL-Caltech
Left NavCam, Sol 1088. NASA/JPL-Caltech

Perseverance non ha poi svolto altre attività di particolare rilievo, con l’ultima aggiunta alla nostra cronaca che riguarda il fatto che abbia iniziato ad allontanarsi dalla roccia Bunsen Peak dopo alcune settimane di permanenza in quest’area.

È probabile che il rover stia iniziando un lungo spostamento verso ovest (senza attraversare l’antico canale sabbioso denominato Neretva Vallis bensì costeggiandolo da sud) che lo vedrà fermarsi di tanto in tanto ad analizzare e raccogliere rocce di interesse. Nel vicino futuro di Perseverance c’è la Inner Rim Campaign, e il bordo del cratere Jezero dove il nuovo capitolo della sua missione inizierà dista solo circa 5 km dalla posizione attuale.

Non ci sono buone notizie per SHERLOC

Vi ricordate la camera SHERLOC, il cui coperchio di protezione dalla polvere è rimasto bloccato a inizio gennaio?

29 febbraio, lo sportellino di SHERLOC sembrava aperto quasi del tutto facendo ben sperare per la risoluzione del problema. NASA/JPL-Caltech/Piras

La NASA ha pubblicato un aggiornamento nel sito della missione e le notizie sono dolciamare.

La buona notizia è che i vari tentativi di sbloccare lo sportellino, come avevamo già visto in chiusura di News da Marte #26, hanno avuto successo. I tecnici hanno inviato comandi per aumentare la coppia erogata dal piccolo motore incaricato dell’apertura, “smosso” il braccio robotico e persino azionato il meccanismo di percussione del trapano. Il risultato è stato ottenere un’apertura oltre i 180° che è all’incirca l’obiettivo sperato. Tutto bene quindi?

SHERLOC fotografato il 7 marzo, Sol 1083. NASA/JPL-Caltech/MSSS

Non è tutto bene, ed ecco che arriviamo alle note dolenti. Nell’aggiornamento NASA viene evidenziato un dettaglio tecnico importante, ovvero che il motore che controlla lo sportellino è responsabile anche della messa a fuoco dell’ottica. Il team è pessimista sulla possibilità di ripristinare al 100% l’operatività del motore, ma sta ancora lavorando per cercare di aprire ulteriormente lo sportellino e raggiungere una posizione del fuoco fissa in modo da permettere al laser, allo spettrometro Raman e al sensore d’immagine di operare seppur in modo limitato.

Nel video che segue ho raccolto quasi tutto il materiale fotografico acquisito dal rover durante le settimane in cui si è tentato di risolvere il problema.

 

Scoperto un nuovo gigantesco vulcano su Marte

Si nascondeva in piena vista poco sotto l’equatore, in una delle regioni più studiate del Pianeta Rosso a cavallo tra il famoso canyon Valles Marineris e il Noctis Labyrinthus. Questo nuovo enorme vulcano ci è sfuggito per cinquant’anni a causa dell’intensa erosione che l’ha interessato durante la storia geologica marziana, rendendolo quasi invisibile rispetto ai suoi vicini compagni Ascraeus Mons, Pavonis Mons e Arsia Mons. Ne ha svelato l’esistenza un nuovo studio a prima firma dello scienziato planetario Pascal Lee e presentato il 13 marzo alla 55esima Lunar and Planetary Science Conference.

Immagine: NASA/USGS Mars globe. Annotazioni: Pascal Lee e Sourabh Shubham

Ad arricchire notevolmente la valenza scientifica della scoperta c’è la possibilità che, al di sotto di recenti e sottili depositi vulcanici nella porzione sud-est, siano presenti dei ghiacciai d’acqua. Le conseguenze per l’esobiologia, la ricerca di vita aliena e l’esplorazione robotica (nonché umana) di Marte potrebbero essere rivoluzionarie.

Il nuovo vulcano, provvisoriamente denominato Noctis Volcano, raggiunge i 9022 metri di altezza e ha un diametro di circa 450 km. Queste imponenti dimensioni e le intense modifiche che l’hanno interessato fanno pensare che sia stato attivo per molto tempo all’interno della regione Tharsis, l’esteso altorilievo che ospita anche gli altri tre summenzionati antichi vulcani.

Immagine: NASA Mars Global Surveyor (MGS) Mars Orbiter Laser Altimeter (MOLA) digital elevation model. Annotazioni: Pascal Lee e Sourabh Shubham

“Stavamo esaminando la geologia di un’area dove l’anno scorso avevamo trovato i resti di un ghiacciaio quando ci siamo resi conto di trovarci all’interno di un vulcano enorme e profondamente eroso” ha detto il dottor Pascal Lee. Gli studiosi hanno svelato la presenza del vulcano mettendo insieme vari indizi quali l’alternarsi di numerose mesa (superfici rocciose piatte sopraelevate caratterizzate da bordi quasi verticali) e i canyon che le separano. Nell’area della sommità centrale le mesa appaiono disposte ad arco e raggiungono un picco locale. Le dolci pendenze esterne si estendono fino a 225 chilometri in tutte le direzioni. Ciò che resta della caldera, ovvero il cratere vulcanico collassato, si evidenzia vicino al centro della struttura.

A sinistra: Mars Express HRSC color mosaic, ESA/DLR/FU. A destra: stessa immagine di sinistra con digital elevation model di NASA MGS MOLA. Annotazioni di Pascal Lee e Sourabh Shubham

“Questa area di Marte è nota per avere una vasta gamma di minerali idrati che abbracciano un lungo tratto di storia marziana. Si sospettava da tempo una genesi in ambiente vulcanico per questi minerali, non è stato quindi troppo sorprendente trovare un vulcano qui” ha spiegato Sourabh Shubham, laureando presso il Dipartimento di Geologia dell’Università del Maryland e coautore dello studio. “In un certo senso, questo grande vulcano è stato una sorta di pistola fumante cercata da lungo tempo”.

NASA Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) Context Camera (CTX) mosaic e Mars Global Surveyor (MGS) Mars Orbiter Laser Altimeter (MOLA) digital elevation model. Annotazioni di Pascal Lee e Sourabh Shubham

Oltre al vulcano, lo studio riporta la scoperta di una vasta area di depositi vulcanici di 5000 chilometri quadrati all’interno del perimetro che presenta un gran numero di piccole protuberanze allungate e rotonde, simili a bolle. Questo “terreno a bolle” viene interpretato come un campo di pseudocrateri (rootless cones in inglese), formazioni prodotte da emissioni esplosive o gonfiamenti dovuti al vapore quando uno strato sottile di materiali vulcanici caldi si deposita sopra una superficie ricca di acqua o ghiaccio.

Il vulcano Noctis presenta una lunga storia di cambiamenti derivanti probabilmente da una combinazione di fratturazioni, erosione termica ed erosione glaciale. I ricercatori lo classificano come un vulcano a scudo composto da accumuli stratificati di materiali piroclastici, lava e ghiaccio, quest’ultimo risultante da ripetuti accumuli di neve e ghiacciai sui suoi fianchi nel corso del tempo. Con lo sviluppo di fratture e faglie, in particolare in corrispondenza dell’innalzamento della più ampia regione Tharsis, le lave hanno cominciato a fluire attraverso varie porzioni del vulcano portando all’erosione termica e al crollo di intere sezioni.

Successive glaciazioni hanno proseguito la loro erosione, conferendo a molti canyon all’interno della struttura la loro forma attuale. In questo contesto, il Relict Glacier identificato nelle immagini e la possibile lastra ghiacciata sepolta intorno ad esso potrebbero essere resti dell’ultimo episodio di glaciazione che ha interessato il vulcano Noctis.

Un’immagine in grado di restituire efficacemente la grande complessità di mesa e canyon che caratterizzano il vulcano, con le loro brusche variazioni di altitudine, è quella che riporto qui sotto. È frutto di un’elaborazione che combina le immagini della sonda Mars Express per generare un anaglifo tridimensionale. Per poterla apprezzare appieno è necessario, ancora una volta, l’uso degli occhialini magenta/ciano.

ESA/DLR/FU Berlin. Annotazioni di Pascal Lee e Sourabh Shubham

Restano ancora varie incognite relative a questo vulcano di recente individuazione. Sebbene probabile che sia stato attivo per molto tempo e abbia iniziato a formarsi presto nella storia geologica di Marte, non si sa con precisione quanto presto. Similmente, sebbene abbia subito eruzioni anche in tempi moderni, non è chiaro se sia ancora attivo dal punto di vista vulcanico e se potrebbe eruttare di nuovo. E ancora: se è stato attivo per molto tempo, potrebbe la combinazione di calore costante e acqua dal ghiaccio aver permesso al sito di ospitare la vita?

Mentre gli scienziati continuano a formulare nuove domande sul vulcano Noctis, il sito sta già destando grande curiosità relativamente allo studio dell’evoluzione geologica marziana e la ricerca della vita. Inoltre la possibile presenza di ghiaccio a bassa profondità nei pressi dell’equatore permetterebbe a esploratori umani di stabilirsi in una parte meno fredda del pianeta rispetto ai poli restando in grado di estrarre acqua sia per gli usi vitali che per la produzione di carburante per razzi.

Anche per questa puntata è tutto da Marte, alla prossima!

Encelado, la luna di Saturno, è l’obiettivo dell’ESA 2050

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Encelado catturato dalla sonda Cassini: Crediti NASA/JPL-Caltech/University of Arizona/LPG/CNRS/University of Nantes/Space Science Institute
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Una crosta fresca e ghiacciata che nasconde un oceano profondo ed enigmatico. Pennacchi d’acqua esplodono attraverso le fessure del ghiaccio, sparati nello spazio. Un intrepido lander raccoglie campioni e li analizza alla ricerca di tracce di vita.

L’ESA ha iniziato a ragionare su come trasformare un simile scenario in realtà, ideando una missione per indagare su un mondo oceanico attorno a Giove o Saturno. Ma quale luna dovremmo scegliere? Cosa dovrebbe fare esattamente la missione? Un team di scienziati esperti ha presentato le proprie considerazioni.

La missione per capirsi dovrebbe seguire JuiceLISA e NewAthena come la prima missione di “grande classe” di Voyage 2050, il cui piano a lungo termine “le lune dei pianeti giganti del Sistema Solare” per le attività scientifiche spaziali dell’ESA è stato scelto nel 2021e per tradurre questo tema in concetti di missione più concreti, l’ESA ha selezionato un comitato di eminenti scienziati planetari.

Il loro compito? Analizzare i meriti scientifici della visita di varie lune di Giove o Saturno e aiutare l’ESA a tracciare le strade verso soluzioni tecniche innovative che renderebbero possibile tale missione.

Le priorità scientifiche sono state stabilite nell’ambito delle raccomandazioni del Voyage 2050 : la missione dovrebbe concentrarsi sull’abitabilità di un mondo oceanico indagando i legami tra il suo interno e l’ambiente circostante, nonché cercando segni di vita passata o presente e cercando di identificare la chimica vitale in superficie.

ESA/Science Office

Ambizioso ma realizzabile. Sempre.

Naturalmente i grandi sogni devono sempre restare entro i limiti di ciò che è tecnicamente fattibile ed economicamente sostenibile. Mentre il team del dottor Martin si concentrava sulla scienza, gruppi di ingegneri del Concurrent Design Facility dell’ESA hanno analizzato quale tipo di missione sarebbe realistica considerando le tecnologie che prevediamo di aver sviluppato entro i prossimi due decenni.

“Abbiamo commissionato tre studi CDF incentrati sulle lune più promettenti: Europa di Giove ed Encelado e Titano di Saturno”, spiega il dottor Frederic Safa, capo del dipartimento Missioni future dell’ESA. “Il team di scienziati ha lavorato a stretto contatto con gli ingegneri del CDF sugli obiettivi di ogni studio. I risultati hanno aiutato a definire cosa si potrebbe fare con le risorse a cui avremo accesso negli anni ’40”.

and the winner is…

Mirando alla scienza della trasformazione, considerando le caratteristiche di ogni luna e le future missioni pianificate su Giove e sui mondi oceanici di Saturno, gli scienziati hanno identificato Encelado, luna di Saturno, come l’obiettivo più avvincente, seguito da Titano, ancora luna di Saturno, e poi da Europa, luna di Giove.

Nessuna agenzia spaziale è mai atterrata sul piccolo Encelado eppure il satellite ha un enorme potenziale per la nuova scienza, in particolare nel campo dell’abitabilità.

È generalmente accettato che esistano tre condizioni affinché un “ambiente abitabile” possa potenzialmente sostenere la vita come la conosciamo: la presenza di acqua liquida, una fonte di energia e un insieme specifico di elementi chimici.

Encelado catturato dalla sonda Cassini: Crediti NASA/JPL-Caltech/University of Arizona/LPG/CNRS/University of Nantes/Space Science Institute

Encelado spunta tutte e tre le caselle. I pennacchi che fuoriescono dalla sua crosta ghiacciata sono ricchi di composti organici, alcuni dei quali sono fondamentali per la vita. L’oceano sembra anche contenere una potente fonte di energia chimica che potrebbe alimentare gli organismi viventi.

In piedi sulle spalle dei giganti

Basandosi sul Jupiter Icy Moons Explorer (Juice) dell’ESA e sulla missione Cassini-Huygens della NASA/ESA/ASI  per visitare Saturno e atterrare su Titano, questa nuova missione trasporterebbe strumentazione di prossima generazione in grado di rivelare segreti inimmaginabili di un mondo oceanico come Encelado.

Ipoteticamente la missione potrebbe partire all’inizio degli anni ’40 lanciata con un  Ariane 6, arrivando a destinazione circa un decennio dopo. Nello stile di Juice e Cassini-Huygens, la missione, se mirata verso Encelado o Titano, potrebbe compiere un fantastico tour nel sistema di Saturno, comprendendo sorvoli di altre lune sconcertanti, prima di  un’indagine ravvicinata del gran finale  dell’obiettivo prescelto. .

Fonte: ESA

ASTROFOTOGRAFIA: Come nasce una passione per l’Universo Svelato

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Nello scorso numero 266 la prima APOC di sempre è stata assegnata a Lorenzo Busilacchi, astrofotografo sardo che da alcuni anni, non molti a dire il vero come scopriremo dal suo racconto, si dedica alla ripresa di oggetti del profondo cielo, ma proprio profondo, insomma.. lontani fino a mezzo miliardo di anni luce.

Busilacchi non è fotografo e la sua passione per le sfide e sincera e il suo approccio genuino ci ricorda come l’astronomia sia accessibile a tutti. Certo quello sopra la Sardegna è di certo un cielo che offre molti vantaggi ma non basta! Ci vuole impegno, pianificazione e pazienza certosina.

Il racconto di Lorenzo Busilacchi è nelle righe pubblicate in COELUM 267 con un’ampia carrellata delle sue meglio riuscite imprese. Qui di seguito, i lettori del sito, troveranno un’introduzione al lavoro e quale è stato l’approccio seguito.

L’UNIVERSO SVELATO: LA MIA PASSIONE PER L’ASTROFOTOGRAFIA

COME ACCADE CHE ALZANDO
GLI OCCHI VERSO IL CIELO
SI ACCENDA LA SCINTILLA

circa quattro anni fa ho tirato fuori il telescopio di mio padre, e da allora non mi sono
più fermato. Ho stretto alcune amicizie con le quali ho condiviso e condivido trasferte
fotografiche in luoghi con cieli bui (valore sqm 21) anche mezz’ora da casa come Is Concias, o più lontani verso Chia spiaggia di Cala Cipolla etc. É una passione talmente profonda che ho acquistato il mio primo strumento Newtoniano con montatura medio leggera HEQ5, e come camera una Sony 7s modificata proprio per il profondo cielo per diversi motivi, sia di trasportabilità che di costi, setup nuovo per avere una certa tranquillità e garanzia, sotto consiglio di amici esperti che conoscono il mercato della strumentazione sia di fotografia che astrofotografia. Tramite quello che considero il mio maestro di sempre ho capito che la mia passione era andare a caccia di soggetti sempre più distanti, e così sono passato dal glorioso Newton 200/800 f4, al Newton 200/1000
f5. Ho scelto questi due setup perchè all’inizio della passione, conoscendo meno sia
gli aspetti tecnici che la teoria che sta alla base del cielo profondo, dovevo sondare i
differenti soggetti cominciando da quelli più vicini che necessitano meno di focali
lunghe, bensì di campi più larghi strumenti luminosi come i Newtoniani.
La spesa iniziale può variare, in genere ad esempio si parte con una reflex, e
non camera astronomica collegata ad un obiettivo fotografico, installata su un astroinseguitore che segue la volta celeste durante le ore di acquisizione; si passa poi a setup più complessi con camere cmos raffreddate in base alla temperatura esterna regolabile, per generare meno rumore termico nelle singole foto che vengono sommate con appositi programmi. Con questa configurazione ho intuito presto che certi soggetti, come galassie e nebulose distanti anni luce, rimanevano fuori dalla portata di una buona definizione e profondità. In telescopi medi e di apertura inferiore ai 280 cm la definizione e il potere risolutivo, anche ritagliando l’immagine, non mi offrivano quella qualità e nitidezza che agognavo, specie nell’acquisire soggetti molto piccoli, limitando per altro significativamente la capacità di elaborare in maniera chiara i dettagli sia interni che esterni.
Tutti i limiti ovviamente sono dovuti a diversi fattori, il cielo in primis, ma anche appunto la strumentazione, che può essere idonea per alcuni target ma inadatta per altri a seconda della distanza e grandezza.

Nebulosa Elmo di Thor
Costellazione Cane Maggiore
Distanza circa 12.000 a.l.
Data 27-28/01/24 di Lorenzo Busilacchi

Il passaggio dal setup base a quello più avanzato è stato più complesso del previsto. Se da un lato infatti è stato indispensabile attendere le opportune possibilità economiche dall’altro ho preferito poter sperimentare le varie opzioni di configurazione, specie riguardo a quello che volevo riprendere o meno, cercando di differenziarmi sempre più dai classici oggetti noti.
Dietro ad ogni immagine astronomica c’è un impegno notevole, tuttavia una postazione fissa come la mia può semplificare il lavoro. Nel mio caso bastano pochi minuti per
allineare la stella polare con lo strumento nel giardino di casa dopo di che sono già pronto per acquisire.
Mi concedo di vantarmi di un’idea che si è rivelata nel tempo ottima. Il mio setup infatti è montato su un carrello che posso spostare a piacimento, in questo modo gestisco
tutto a pochi metri dal box che uso per ripararlo da intemperie e agenti atmosferici.

Il discorso dell’astrofotografia itinerante è differente, molto più difficile perché ogni volta
bisogna portare con sé la strumentazione, ma per la trattazione lascio la parola a qualcun altro.

Nebulosa planetaria Doppia Bolla NGC2371-2.
Primo esperimento in assouto a piena focale
anche come integrazione con tempi di acquisizione
brevi su soggetti così luminosi. Distanza circa 3900 a.l.
Costellazione dei Gemelli. Luna presente 92%
Data 21-22.01.24 di Lorenzo Busilacchi

[…]

L’articolo completo è su COELUM ASTRONOMIA N°267 prenotalo finché disponibile.

 

 

Editoriale COELUM 267

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Con i primi mesi del 2024 ci è conclusa l’ultima fase del concorso LuckyCoelum che ha visto la consegna dei premi agli abbonati estratti.

Editoriale COELUM ASTRONOMIA n°267

Nello scorso mese i vincitori dei concorso LuckyCoelum si sono visti recapitare i premi direttamente a casa.
Le spedizioni sono partite dalle aziende con bancali e imballaggi predisposti ad hoc, tutto per consegnare i premi in maniera perfetta.
Sono passati alcuni mesi dall’estrazione, ma è valso sicuramente la pena attendere anche fosse solo per l’emozione di vedere arrivare un pacco così prezioso e per alcuni, anche molto voluminoso.
Ricordiamo i premi tanto per rifare mente locale (immagini in basso).
Il primo estratto ha ritirato uno strepitoso Dobson Skywatcher Skyliner 300 Flextube. Diciamolo, un gioiellino che chiunque vorrebbe avere ma al quale non è sempre possibile dedicare risorse finanziarie.
Il secondo estratto può contare su uno strumento più maneggevole e completo: Telescopio Bresser NT-203/1000 EXOS-2/EQ5. Un gradino più in alto rispetto all’entry level, un telescopio versatile e preciso perfetto per le prime vere soddisfazioni.
Al terzo vincitore è andata invece la Fotocamera ZWO CMOS “ASI 183 MC Color” 20 Mpixel Mono/Color*. La scelta di una fotocamera è stata piuttosto combattuta, è impossibile pensare di soddisfare a priori un’esigenza così specifica ma il valore del premio non cambia e siamo certi che il lettore saprà come sfruttarlo al meglio.

Anteprima dei premi del concorso LuckyCoelum

E’ stata una vera emozione per la redazione poter contattare i vincitori ed annunciare non solo l’assegnazione ma anche l’imminente consegna. Dall’altro capo del telefono abbiamo sentito voci incerte e sorprese, oggi che riceviamo fin troppe chiamate da chi vuole venderci qualcosa sembra impossibile rispondere a qualcuno che sta annunciando un regalo. Ammettiamo che in alcuni casi abbiamo dovuto ripetere il messaggio addirittura più volte!
Bene, meglio così, sarà stata una doppia sorpresa alla fine aprire al corriere e il pensiero ci rende felici.
Un concorso a premi non è una novità certo, negli anni se ne sono visti molti, su Coelum e non solo, ma per noi, da poco al timone di questo veliero il risultato ci appare sensazionale. Essere riusciti, a distanza di così poco tempo dal ritorno al cartaceo a condividere il successo con alcuni lettori, è fuori da ogni dubbio principalmente una vittoria e, in un periodo storico in cui la diffidenza sembra regnare, essere riusciti a condividere un momento di felicità con i lettori è per noi il migliore dei premi.
Ci sentiamo anche in dovere di ringraziare le aziende che hanno supportato l’iniziativa, Skypoint Srl e Giordano Innovations Srl. Con la collaborazione si può ancora testimoniare il valore di una comunità.

Lo rifaremo? Lo vogliamo dire, non è stato semplice, la prima edizione è (speriamo) la più difficile, ma si, stiamo già ragionando sulle modalità e su come migliorare, per cui seguiteci e soprattutto ABBONATEVI (o rinnovate)!

Leggi tutti gli articoli di COELUM ASTRONOMIA N°267 e prenotalo finché disponibile.

 

 

Oggi DONNE fra le STELLE 2024 Abano

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Ė in corso ad Abano la terza edizione di “Donne fra le Stelle”. Dopo l’inugurazione di ieri, venerdì, e i saluti ufficiali si entra nel vivo della manifestazione con ampio spazio alle testimonianze.

Sono intervenute nel pomeriggio di ieri Lucia Votano, dirigente di ricerca affiliata INFN e Bianca Poggianti neo eleyya direttrice dell’osservatorio astronomico di Padova e dirigente di ricerva del progetto GASP.

Per l’ambito “Sostenibilità e Spazio” in collegamento Raffaella Luglini, Chief Sustainability Office Leonardo ed in presenza Annamaria Nassisi, Geofisica, Manager Space Economy Observation and Navigation in Thales Alenia Space e co-leader WIA Europe Rome Chapter.

In conclusione della giornata spazio a WIA-Europe Roma Chapter e Ruolo delle Donne realtà che oggi opera su tutto il territorio nazionale promuovendo la parità di opportunità nelle professionalità STEM. Presentazione a cura di Cristina Valente, Head of Institutional Key Account Management in Telespazio e co-leader WIA Europe Rome Chapter.

La giornata di sabato si è aperta con la presentazione del libro “500 e uno quiz di Astronomia” di Francesco Veltri, astrofilo e divulgatore, con l’intervento di Molisella Lattanzi direttrice di Coelum.

Donne fra le Stelle l’intervento di Francesco Veltri con Molisella Lattanzi

A seguire l’incontro dibattito sul rapporto fra Fede e Scienza moderato da Patrizia Parodi con Antonio Masiero, Docente dell’Università di Padova, e Manuela Riondato Astronoma e Teologa.

Chiude la serie di intervento della mattina l’intervento condiviso che vede protagoniste Monica Lazzarin, Astrofisica e Docente del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Padova, e Patrizia Caraveo, Dirigente di Ricerca INAF.

 

Dopo il grande successo delle scorse edizioni sarà Abano Terme (PD), cittadina termale del padovano, ad ospitare la terza edizione di “Donne fra le stelle” nelle giornate del 22-23-24 marzo 2024, con un ricco calendario di convegni e iniziative collaterali.

Ad Abano Terme, dal 22 al 24 marzo 2024, si terrà la

DONNE TRA LE STELLE

Ventidue  scienziate e ricercatrici provenienti dai principali istituti e centri di ricerca europei nel campo della fisica, astronomia, astronautica, astrofisica e ingegneria aerospaziale si racconteranno, come donne e come professioniste, attraverso un linguaggio accessibile e coinvolgente, il 22, 23 e 24 marzo prossimo in quel di Abano Terme, cittadina termale della provincia di Padova che si candida a diventare la capitale dell’aerospazio in rosa per la terza edizione di “Donne fra le stelle”

Ad accompagnarle, durante tutta la tre giorni, l’attore e cantante Riccardo Mei, voce narrante di numerosi programmi Rai (Superquark, Kilimangiaro, Voyager, Rai Storia, Freedom oltre il confine…) e di documentari del National Geographic.

“Donne fra le stelle” è un’associazione nata dal desiderio di illustrare le meraviglie del cosmo al grande pubblico attraverso la voce di astronaute, astrofisiche, ingegnere aerospaziali e ricercatrici, per rendere protagoniste le donne sottolineandone l’impegno e i risultati in ambito scientifico, dove è ancora nettamente prevalente la presenza maschile.

L’obiettivo dell’associazione è stimolare i giovani, soprattutto le ragazze, a scegliere le materie STEM nel loro percorso di studi e lo fa organizzando simposi itineranti su tutto il territorio nazionale e con la collaborazione dei più importanti centri di ricerca a livello mondiale (ASI Agenzia Spaziale Italiana, ESA European Space Agency, NASA National Aeronautics Space Administration).

STEM è un acronimo inglese che racchiude gli indirizzi di studio degli ambiti accademici e lavorativi di Science, Technology, Engineering e Mathematics e alcuni dati tratti dagli elaborati dal Consorzio Inte runiversitario Alma Laurea hanno dimostrato che le donne hanno performance più brillanti degli uomini: le donne STEM sono caratterizzate da un voto medio di laurea lievemente più alto (103,6 su 110 contro 101,6 degli uomini) e da una maggiore regolarità negli studi (tra le donne il 46,1% ha concluso gli studi nei tempi previsti contro il 42,7% degli uomini).

Il simposio di quest’anno si svolgerà principalmente presso il prestigioso Teatro Marconi di Abano Terme , mentre saranno tante e coinvolgenti le attività collaterali alla parte più scientifica e divulgativa.

Nella piazza del Sole e della Pace, antistante il Teatro Marconi, chiunque avrà l’opportunità di osservare il cielo notturno e diurno con i telescopi messi a disposizione gratuitamente dal Gruppo Astrofili di Padova, partner dell’evento. Vi saranno anche workshop gratuiti per i bambini con attività laboratoriali di disegni e osservazione al telescopio, fino al rilascio di un attestato di partecipazione con la foto sulla riproduzione dell’Apollo 11.

Nella piazza sarà infatti presente anche l’installazione in riproduzione 1:1 del modulo di allunaggio dell’Apollo 11 realizzato da Y40 The Deep Joy, oltre che un’esposizione di astrofotografie davvero suggestive: nebulose, galassie…tutto quello che serve per trasportare visitatori e passanti “dentro” le meraviglie del cosmo.

Tra gli altri eventi collaterali da segnalare, la sera del 23 marzo ci sarà il concerto di Riccardo Mei che, con la sua voce calda e avvolgente, si esibirà in un meraviglioso viaggio tra i classici del Jazz, accompagnato dalla Young Art Jazz Ensemble (biglietti disponibili su Eventbrite https://www.eventbrite.com/e/biglietti-riccardo-mei-in-concerto-798769760857?aff=ebdsoporgprofile).

Ulteriore novità di questa edizione aponense è anche il prestigioso Premio nazionale per la divulgazione scientifica spaziale dedicato a Rossella Panarese, giornalista di Radio3Tre scienza.

IL Premio è patrocinato da Confindustria Veneto Est ed è aperto alla partecipazione di ricercatori, giornalisti, studiosi, autori, registi, blogger che con il loro impegno e attraverso la loro arte di comunicatori hanno contribuito a divulgare la scienza spaziale e con l’obiettivo di contribuire a declinare la divulgazione scientifica riguardante lo Spazio a più voci rendendola accessibile, fruibile e di interesse comune attribuendo alla cultura scientifica un ruolo centrale nella società. Sei saranno i vincitori finali per le due categorie in concorso, Under 30 e Over 30.

La giuria del Premio è costituita da esponenti del mondo scientifico, accademico, della ricerca, della comunicazione, delle tv, del cinema e della società.

Questi i nomi: Leila Zoia, responsabile comunicazione Dipartimento Astronomia Università di Padova, Antonella Attili, Attrice,  Cristiana Ruggeri, giornalista televisiva Rai TG 2, Giampaolo Colletti, Presidente WebTv Italia, il Sole 24 Ore, Cristina Borile, Imprenditrice e Vice Presidente Confindustria Turismo Veneto, Riccardo Mei, attore e doppiatore programmi televisivi Rai Mediaset, Elena Rigon imprenditrice marchio Eledor, Romina Gobbo, giornalista, Alessandra Turco, autrice.

Inclusività è sicuramente tra le parole d’ordine di questo evento che, per essere accessibile a tutti e a tutte, verrà trasmesso anche in diretta streaming dalla pagina Facebook di Donne fra le stelle ( https://www.facebook.com/donnefralestelle2024) . Un collegamento fruibile da chiunque e fortemente raccomandato soprattutto alle scuole secondarie che potranno così offrire ai propri studenti e alle proprie studentesse l’opportunità di aprire dei dialoghi di valore e, soprattutto, d’ispirazione per le future generazioni.

Donne fra le stelle ha il patrocinio della città di Abano Terme, Comune di Padova, Provincia di Padova, Regione Veneto, Federalberghi Terme Abano Montegrotto, Therme Abano Montegrotto, Confindustria Veneto Est, Parco Regionale dei Colli Euganei, Università degli Studi di Padova, Ascom Confcommercio Padova, Fondazione Marisa Bellisario, Associazione Donne Scienza

Info: https://donnefralestelle.it/

 

 

EINASTO il superammasso grande 360 milioni di anni luce

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Scoperto il SuperAmmasso di galassie più esteso

Il posto della Terra nello spazio è abbastanza familiare poiché orbita attorno a una stella medio piccola. La stella – il nostro Sole – orbita attorno al centro della nostra Galassia, la Via Lattea. Da qui in poi la storia è meno conosciuta. La Via Lattea fa parte di una grande struttura chiamata Superammasso di Laniakea che ha un diametro di 250 milioni di anni luce! Si tratta davvero di un’enorme area di spazio che contiene almeno 100.000 galassie. Ci sono però superammassi più grandi, come il superammasso Einasto appena scoperto che misura l’incredibile larghezza di 360 milioni di anni luce e ospita 26 quadrilioni di stelle (un quadrilione è pari in Italia a un milione di miliardi)!

Le galassie sono raccolte di cose legate insieme dalla forza di gravità. Una tipica galassia è semplicemente un insieme di stelle, nebulose, ammassi, pianeti, comete e così via. I superammassi sono in gran parte la stessa cosa, solo un insieme di galassie legate insieme (non completamente) sotto la forza di gravità.

Le stelle calde brillano intensamente in questa immagine del Galaxy Evolution Explorer della NASA, che mostra il lato ultravioletto della galassia di Andromeda, o M31, la più grande vicina galattica della nostra Via Lattea. L’intera galassia si estende per 260.000 anni luce: una distanza così grande che ci sono voluti 11 diversi segmenti di immagine uniti insieme per produrre questa vista della galassia. Le bande blu-bianche che compongono gli straordinari anelli della galassia sono quartieri che ospitano stelle calde, giovani e massicce. Strisce blu-grigio scure di polvere più fredda si stagliano nettamente contro questi anelli luminosi, tracciando le regioni in cui la formazione stellare sta attualmente avvenendo in densi bozzoli nuvolosi.  

I superammassi come Laniakea ed Einasto (distanti 3 miliardi di anni luce) sono tra le strutture più grandi dell’Universo. La scoperta di questo ultimo superammasso prende il nome dal professor Jaan Einasto, che fu un pioniere nel campo dei superammassi e ha festeggiato il suo 95esimo compleanno il 23 febbraio 2024. 

Modello tridimensionale dell’asteroide (357) Ninina

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Le misurazioni radar sono tra i metodi più precisi per ottenere dati sulla forma degli asteroidi.

Gli astronomi impiegano diverse tecniche (dirette o indirette) per studiare e determinare la forma degli asteroidi, ciascuna di queste presenta vantaggi e svantaggi che le fanno preferire in specifici campi di applicazione. Tra queste tecniche troviamo le misurazioni radar, l’utilizzo di immagini ottenute da sonde spaziali  e l’inversione delle curve di luce. Il 3D Asteroid Catalogue (https://3d-asteroids.space/) riporta i modelli tridimensionali di circa tremila asteroidi, ottenuti con l’utilizzo di queste diverse tecniche.

Le misurazioni radar sono tra i metodi più precisi per ottenere dati sulla forma degli asteroidi. Utilizzando grandi radiotelescopi, gli astronomi emettono onde radio verso un asteroide e poi ne raccolgono l’eco. Questo permette di ottenere modelli della superficie dell’asteroide con grande precisione, rivelando dettagli sulla sua forma, dimensione, periodo di rotazione, e caratteristiche superficiali. Il radar purtroppo è particolarmente utile solo per studiare asteroidi vicini alla Terra (NEA) fornendo dati utili per valutare potenziali minacce di impatto​​.

Le immagini ottenute da sonde spaziali offrono i dettagli più diretti e minuti della forma degli asteroidi. Missioni spaziali dedicate hanno visitato alcuni asteroidi, orbitando attorno a loro o sorvolandoli da vicino, raccogliendo immagini ad alta risoluzione che ne rivelano la geologia, la topografia e la composizione della superficie con modalità altrimenti impensabili con le tecniche osservative da Terra. Queste missioni, sebbene costose e tecnicamente impegnative, forniscono le informazioni più accurate e dettagliate sulla forma e sulle caratteristiche fisiche degli asteroidi​​.

L’inversione delle curve di luce rappresenta un’altra tecnica fondamentale, utilizzata per ricavare la forma tridimensionale, l’orientamento dell’asse di rotazione ed altre proprietà fisiche degli asteroidi, partendo dai dati fotometrici. La curva di luce rappresenta un grafico che mostra le variazioni di luminosità di un asteroide in relazione al tempo, tali variazioni sono principalmente causate dalla rotazione che riflette diverse quantità di luce solare in ragione della diversa area della superficie illuminata.

La curva di luce di un asteroide varia di aspetto anche in ragione delle diverse geometrie con cui viene osservato da Terra. Ad esempio osservando un asteroide in vista equatoriale, le sue variazioni di luminosità sono massime, mentre se lo osserviamo in vista polare, le sue variazioni di luminosità sono minime. Analizzando queste variazioni periodiche, è possibile dedurre le caratteristiche fisiche dell’oggetto, come l’orientamento dell’asse di rotazione e la sua forma. La tecnica dell’inversione delle curve di luce utilizza modelli matematici per simulare un’ampia varietà di forme e orientamenti possibili che potrebbero produrre le variazioni di luminosità osservate. Confrontando i modelli simulati con i dati reali, è possibile determinare quale configurazione corrisponde meglio alle osservazioni.

Il successo di questa tecnica dipende dalla qualità e dalla quantità dei dati fotometrici raccolti, con risultati più accurati ottenuti attraverso l’osservazione dell’asteroide da diverse angolazioni e in diversi momenti. L’inversione delle curve di luce fornisce un modo potente per studiare gli asteroidi, permettendo agli astronomi di esplorare le proprietà fisiche di questi corpi celesti senza la necessità di missioni spaziali dirette. Per contro i modelli ottenuti con questa tecnica non forniscono informazioni sulle eventuali concavità dell’asteroide.

E’ appena stato pubblicato sul Minor Planet Bulletin (51-2) uno studio, di respiro internazionale, che riguarda la modellazione dell’asteroide di fascia principale (357) Ninina, attraverso il processo di inversione delle curve di luce. Lo studio, guidato da Lorenzo Franco, utilizza i dati fotometrici acquisiti nel corso di cinque opposizioni (dal 2007 al 2023), due delle quali vedono il contributo della sezione asteroidi UAI, insieme ad i dati fotometrici provenienti dalla survey USNO Flagstaff.

Anteprima dello studio pubblicato sul Minor Planet Bulletin

Questa ricerca ha permesso di determinare il periodo siderale (rispetto alle stelle fisse) di rotazione dell’asteroide (35.9840 ± 0.0005 ore), due possibili soluzioni per l’orientamento del polo di rotazione rispetto al piano dell’eclittica (λ = 49°, β = 0°) e (λ = 230°, β = 36°) ed infine il modello tridimensionale.

https://mpbulletin.org/issues/MPB_51-2.pdf

Hanno partecipato allo studio Lorenzo Franco Balzaretto Observatory (A81); Frederick Pilcher Organ Mesa Observatory (G50); Julian Oey Blue Mountains Observatory (Q68);  Alessandro Marchini, Riccardo Papini Astronomical Observatory, University of Siena (K54); Giulio Scarfi Iota Scorpii Observatory (K78); Marco Iozzi H.O.B Astronomical Observatory (L63); Nello Ruocco Osservatorio Astronomico Nastro Verde (C82);  Paolo Bacci, Martina Maestripieri GAMP – San Marcello Pistoiese (104); Nico Montigiani, Massimiliano Mannucci Osservatorio Astronomico Margherita Hack (A57). Analisi dei dati e redazione del documento a cura di L. Franco (A81).

Questo studio dimostra quanto sia importante acquisire curve di luce nel corso di molteplici opposizioni, lavoro al quale l’Unione Astrofili Italiani sta fornendo un valido contributo con le sue campagne fotometriche trimestrali, e come l’approccio collaborativo, insieme all’impiego di tecnologie avanzate, continua a svolgere un ruolo cruciale nel progresso della conoscenza e dello studio dell’universo.

 

Abbonati a Coelum IN OMAGGIO FUTURI

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 FUTURI N°20 ANNO V

Rivista Italiana di Futures Studies

 

Intro

Di fronte all’escalation bellica in un quadro globale reso critico dagli effetti dell’Antropocene, il termine “policrisi” ha iniziato a imporsi per designare un presente e soprattutto un futuro di crisi sistemiche del sistema internazionale. I multipli scenari di guerra in atto o in potenza politicizzano con altri mezzi – cioè, militari – le numerose linee di frattura dello scenario politico internazionale, polarizzandole in modo radicale e riducendo drammaticamente gli spazi di mediazione. Ma maggiore è la crisi istituzionale internazionale, maggiore è il bisogno di una democratizzazione formale e sostanziale delle istituzioni e degli attori, compresi quelli della società civile internazionale: rimettere al centro questo tema è essenziale per non rassegnarsi a un futuro di militarismo, autoritarismi e nuovi nazionalismi/suprematismi, peraltro potenzialmente o di fatto trasversali ai regimi politici. I Futures Studies possono contribuire a smontare il fatalismo deterministico e mettere al centro, anche e soprattutto per l’ordine politico globale, un’idea di futuro desiderabile verso cui muoversi con rinnovata consapevolezza.

Futuri – La Rivista

“Futuro” è una parola che non passa mai di moda, anzi: usata e abusata in ogni contesto e fuori contesto, dai discorsi politici agli spot pubblicitari, è stata svuotata di ogni significato. “Futuri”, d’altro canto, fa riferimento a un altro contesto: quello associato ai futures studies, lo studio dei futuri possibili, una disciplina nata negli anni Sessanta che si è diffusa in tutto il mondo. “Futuri” è una parola che esemplifica un concetto, quello per cui non esiste un destino manifesto, un futuro oggettivo nel quale vivremo, ma una vastissima gamma di possibilità, di “scenari”. Dopo essere stato invaso e colonizzato da una sola grande narrazione, il futuro va pluralizzato: bisogna liberare i “futuri” potenziali e dormienti. Questa la mission dell’Italian Institute for the Future, nato nel 2013 come think-tank dedicato allo studio dei futuri, che dal 2014 pubblica FUTURI, rivista semestrale attualmente unica nel panorama italiano dedicata ai futures studies.

FUTURI non è un magazine d’informazione sulle ultime novità nell’ambito dell’innovazione, della scienza, dell’economia o della politica. Non tratta degli ultimi prodotti tecnologici né di start-up. Non presenta, soprattutto, una visione acritica del futuro, ma è appunto una rivista di studi critici sui futuri, ossia di analisi. Da un lato per comprendere i megatrend, le tendenze di lungo periodo, i “segnali deboli” nel grande marasma del villaggio globale, e riuscire così a “guardare più lontano”, come recita il sottotitolo. Dall’altro per mettere in discussione il “futuro” come paradigma egemonico e offrire, al suo posto, una serie di scenari alternativi, di nuove visioni di futuri più possibili. Già con il manifesto che inaugurava l’esperienza dell’Italian Institute for the Future partivamo da una domanda: che fine ha fatto il futuro? E non perché non ne sentissimo più parlare, anzi al contrario: perché tutto questo gran parlare di futuro lo ha reso oggi un significante vuoto. Dobbiamo quindi tornare a riempirlo di senso, riconquistando la capacità di aspirare a un domani diverso, più inclusivo, più sostenibile, più ambizioso, dove possano convivere progetti di insediamenti su Marte e nuovi movimenti democratici dal basso, ricerca medica di frontiera e accesso per tutti a Internet come all’acqua potabile, aerei ipersonici e treni più confortevoli per i pendolari. Sono queste le storie che vogliamo raccontare su FUTURI.


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Allarme ghiaccio: Task force Euclid (ma è già tutto previsto)

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Crediti: ESA
Tempo di lettura: 4 minuti

E’ del 19 marzo la notizia del rilevamento di sottili strati di ghiaccio formatosi su uno degli strumenti di Euclid. La Task Force è entrata subito all’azione e gli interventi hanno già dato segni di miglioramento.

La visione di Euclide si annebbia

Alcuni strati di ghiaccio d’acqua – parliamo di uno spessore paragonabile alla larghezza di un filamento di DNA – stanno iniziando a influenzare la visione di Euclide ; un problema comune per i veicoli spaziali nel freddo gelido dello spazio, ma particolarmente invasivo per questa missione tanto sensibile da indagare la natura dell’Universo oscuro. Dopo mesi di ricerca, i team Euclid in tutta Europa entrano in gioco testando una procedura di nuova concezione per sbrinare l’ottica della missione. In caso di successo, come si sta verificando, le operazioni convalideranno il piano delle squadre di missione di mantenere il sistema ottico di Euclid quanto più libero possibile dai ghiacci per il resto della sua vita in orbita.

Negli ultimi mesi, mentre si mettevano a punto e calibravano gli strumenti di Euclid, gli esperti hanno notato una piccola ma progressiva diminuzione della quantità di luce misurata dalle stelle osservate in maniera sistematica dallo strumento visibile (VIS ) .

Si tratta appunto di un problema comune che i veicoli spaziali devono affrontare una volta arrivati ​​nello spazio: l’acqua assorbita dall’aria durante l’assemblaggio sulla Terra viene ora gradualmente rilasciata da alcuni componenti del veicolo spaziale, eliminata dal vuoto dello spazio.

Nel freddo gelido del nuovo ambiente di Euclid però, le molecole d’acqua contenute nell’aria che viene rilasciata tendono ad attaccarsi alla prima superficie su cui atterrano e, e se questa superficie è l’ottica altamente sensibile l’effetto diventa evidente.

“Abbiamo confrontato la luce stellare che entra attraverso lo strumento VIS con la luminosità registrata delle stesse stelle in tempi precedenti, viste sia da Euclid che dalla missione Gaia dell’ESA “, spiega Mischa Schirmer,  esperta della calibrazione per il consorzio Euclid e uno dei principali progettisti di il nuovo piano di de-icing.

“Alcune stelle sembrano variare nella loro luminosità, anche se per la maggior parte è stabile per molti milioni di anni. Quindi, quando i nostri strumenti hanno rilevato un debole e graduale declino dei fotoni in arrivo, è stato facile capire che non erano le stelle, ma noi”.

Ci si è sempre aspettati che l’acqua potesse gradualmente accumularsi e contaminare la visione di Euclide, poiché è molto difficile costruire e lanciare un veicolo spaziale dalla Terra senza che parte dell’acqua presente nell’atmosfera del nostro pianeta vi si insinui.

Per questo motivo, subito dopo il lancio si è svolta una “campagna di degassamento” in cui il telescopio è stato riscaldato da riscaldatori di bordo e anche parzialmente esposto al Sole, sublimando la maggior parte delle molecole d’acqua presenti al momento del lancio sulle superfici di Euclid o molto vicine. Una parte considerevole, tuttavia, è sopravvissuta, essendo stata assorbita nell’isolamento multistrato, e ora viene lentamente rilasciata nel vuoto dello spazio.

Dopo un’enorme quantità di ricerche – compresi studi di laboratorio su come minuscoli strati di ghiaccio sulle superfici degli specchi si diffondono e riflettono la luce – e mesi di calibrazioni nello spazio, il team ha stabilito che diversi strati di molecole d’acqua sono probabilmente congelati sugli specchi nell’ottica di Euclide. Si tratta dicevamo di spessori pari all’equivalente della larghezza di un filamento di DNA e certo si tratta anche di un’ulteriore conferma della sensibilità della missione il fatto stesso che rilevi quantità così piccole di ghiaccio.

Mentre le osservazioni e la scienza di Euclid continuano, i team hanno elaborato un piano per capire dove si trova il ghiaccio nel sistema ottico e mitigarne l’impatto ora e in futuro, nel caso continuasse ad accumularsi.

Il modello strutturale e termico del modulo di carico utile della missione Euclid dell’ESA visto nella camera bianca, con parte degli strumenti VIS (coperto in isolamento multistrato nero, o MLI) e NISP (coperto in MLI dorato) installati. Il materiale di rivestimento il cui peso è stimato in 10 kg circa può assorbire fino a quasi l’1% del proprio peso in acqua.

Nuovo piano per decontaminare Euclid da 1,5 milioni di km di distanza

Per rimuovere lo strato di ghiaccio ’opzione più semplice sarebbe quella di utilizzare la procedura di decontaminazione sviluppata ben prima del lancio e riscaldare quindi l’intero veicolo spaziale aumentando lentamente la temperatura da circa –140°C a, in alcune parti della navicella, sino ad un “mite” –3°C.

Ciò pulirebbe l’ottica ma riscalderebbe anche l’intera struttura meccanica del veicolo spaziale. Poiché la maggior parte dei materiali riscaldandosi si espande per poi non necessariamente tornare esattamente allo stesso stato dopo una settimana di raffreddamento, si potrebbe rischiare una differenza potenzialmente sottile nell’allineamento ottico di Euclid. Previsione inaccettabile per una missione così delicata in cui si possono notare effetti sull’ottica da un cambiamento di temperatura anche solo di una frazione di grado, che richiede almeno diverse settimane di ricalibrazione fine.

“La maggior parte delle altre missioni spaziali non hanno requisiti così esigenti in termini di ‘stabilità termo-ottica’ come quelli di Euclid”, spiega Andreas Rudolph, direttore di volo di Euclid presso il controllo missione dell’ESA.

Per limitare gli sbalzi termici, il team inizierà riscaldando individualmente le parti ottiche a basso rischio del veicolo spaziale, situate in aree in cui è improbabile che l’acqua rilasciata contamini altri strumenti o ottiche. Inizieranno con due specchi di Euclide che potranno essere riscaldati indipendentemente. Se la perdita di luce persisterà essi continueranno a riscaldare altri gruppi di specchi di Euclide, controllando di volta in volta la percentuale di fotoni di ritorno.

Piccole quantità di acqua continueranno a essere rilasciate all’interno di Euclid per tutta la durata della missione, quindi sarà sempre necessaria una soluzione a lungo termine per sbrinare regolarmente le sue ottiche senza impiegare troppo tempo prezioso per la missione: ricordiamo che Euclid ha solo sei anni per completare la sua indagine.

Una volta isolata l’area interessata, la speranza è che in futuro si potrà semplicemente riscaldare questa parte isolata della navicella spaziale secondo necessità. Quindi un lavoro molto complesso e dettagliato ma funzionale per risparmiare tempo prezioso in futuro.

Nonostante quanto sia comune questo problema di contaminazione per i veicoli spaziali che operano in condizioni fredde, sorprendentemente sono poche le ricerche pubblicate su come si forma esattamente il ghiaccio sugli specchi ottici e il suo impatto sulle osservazioni. Euclide non solo potrebbe rivelare la natura della materia oscura, ma potrebbe anche far luce su un problema che affligge da tempo i nostri occhi vagabondi nello spazio, che scrutano la Terra e l’Universo.

Come anticipato il nuovo approccio sta già mostrando ottimi risultati, sarà quindi possibile proseguire con le fasi di messa a punto dello strumento senza particolari interruzioni e perdite di tempo prezioso.

Fonte: ESA

 

Eclissi e Stima del Raggio Solare 8 aprile 2024

Tempo di lettura: 4 minuti

Nel numero 256 di Coelum Astronomia la
squadra composta da Alessandro Pessi, John
Irwin, Luca Quaglia, Lucian Kafka e Konstantinos
Emmanouilidis hanno condiviso con i lettori
i passaggi per la stimare il raggio solare sfruttando
le condizioni favorevoli delle eclissi.
In vista della prossima eclissi dell’8 aprile
2024 il team ci riprova e ci spiega come.

L’8 Aprile 2024 un’eclissi di Sole sarà visibile dall’America del Nord e Centrale, e marginalmente da Hawai’i, Polinesia Francese, Isole Cook, Kiribati, Groenlandia, Islanda, Irlanda e Regno Unito. L’eclissi sarà totale in un corridoio di circa 180 km di larghezza: la banda di totalità attraverserà Messico, gli Stati Uniti e il Canada. L’eclissi sarà parziale al di fuori di questa fascia nei rimanenti luoghi in cui l’eclissi sarà visibile.

Milioni di persone potranno potenzialmente assistere allo spettacolare fenomeno della totalità. Alcune di esse, posizionate esattamente in mezzo alla banda di totalità, vicino alla linea di centralità, potranno ammirare, tempo permettendo, la corona solare per oltre 3 minuti (in Messico e nella maggior parte degli Stati Uniti, per oltre 4 minuti). Altre invece saranno vicine ai limiti della banda di totalità: che esperienza essi avranno? La domanda non è solo accademica, poiché alcune grandi città, in particolare Montréal, saranno bisecate da uno dei due limiti della banda di totalità.

Mappa di Montréal che mostra, in arancione, il limite nord della banda di totalità (il limite “vero”) dell’eclissi dell’8 Aprile 2024, calcolato prendendo in considerazione la topografia del profilo lunare (detto anche bordo o limbo lunare) e assumendo un raggio solare di 959.95”. In blu, il limite nord della banda di totalità (il limite “medio”), calcolato assumendo che la Luna sia una sfera perfetta, senza valli o montagne, e un raggio solare di 959.95”. Questo limite “medio” è quello che si trova su quasi tutte le altre mappe per questa eclissi (Map Data © Google Earth 2024, calcoli di John Irwin).

 

Come la figura 2 mostra, circa 90 km a sud-est di Montreal, vicino alla linea di centralità, la totalità durerà circa 3 minuti e 30 secondi. Allontanandosi dalla linea di centralità, la durata della totalità diminuirà, inizialmente molto gradualmente, ma poi sempre più rapidamente avvicinandosi ai limiti della banda di totalità. A circa 70 km dalla linea di totalità (circa 80% della distanza tra linea di centralità e limite nord), la durata della totalità avrà ancora un rispettabile valore di circa 2 minuti. A circa 80 km dalla linea di totalità (circa 90% della distanza tra linea di centralità e limite nord), la durata della totalità sarà ancora di circa 1 minuto 20 secondi. Da qui al limite nord, la durata della totalità crollerà rapidamente, sino ad azzerarsi esattamente al limite. Questa sembrerebbe una zona da evitare a tutti i costi, ma in realtà ai limiti della banda di totalità i fenomeni transitori dell’eclissi vengono esaltati e interessanti studi scientifici possono essere condotti, tra i quali la misura del raggio solare.

Il grafico mostra la dipendenza della durata della totalità dell’eclissi dell’8 Aprile 2024 in funzione della distanza dalla linea di centralità, a sud-est di Montréal. Distanze positive a nord della linea di centralità, e negative a sud di essa. I valori di durata “vera” della totalità includono gli effetti della topografia del limbo lunare, quelli “medi” assumono che la Luna sia una sfera perfetta (calcoli di John Irwin).

 

I fenomeni transitori sono quelli che si possono vedere, di solito brevemente, attorno ai tempi di secondo e terzo contatto, quando la totalità comincia e finisce. Dovuti alla topografia del limbo lunare, quando l’eclisse è quasi totale, quello che rimane della fotosfera (lo strato superficiale del Sole) si frammenta in brillanti grani di Baily, come mostrato in figura 3. Giusto prima del secondo contatto e giusto dopo il terzo contatto, i grani di Baily generano lo spettacolare effetto dell’anello di diamante. La cromosfera, il colorato strato sottile giusto sopra la fotosfera, diventa brevemente visibile. Le ombre volanti, elusive e affascinanti bande di luce e ombra che si muovono rapidamente sulla superficie del paesaggio, nelle opportune condizioni, possono apparire in modo spettacolare. Questi fenomeni sono estremamente brevi in quasi tutta la banda di totalità, ma sono estesi, esaltati e prolungati nelle vicinanze dei limiti della banda di totalità [1].

Sequenza di grani di Baily visibili nei secondi precedenti il secondo contatto (C2) dell’eclisse anulare-totale del 20 Aprile 2023 in Australia. Queste immagini sono estratte da un video ad alta risoluzione registrato nelle vicinanze della linea di centralità. (credito per le immagini: Jörg Schoppmeyer).

La drastica riduzione della durata della totalità caratteristica dell’osservare l’eclisse dal limite non sembrerebbe essere controbilanciata dall’estensione e dalla intensificazione dei fenomeni transitori. In realtà, come vedremo, la corona solare rimane visibile significativamente più a lungo di quello che la semplice durata di totalità sembrerebbe indicare.

 

  1. Considerazioni sul calcolo dei limiti della banda di totalità

    [..]

  2. Stimare il raggio solare osservando dal limite della banda di totalità

    [..]

  3. Stima del raggio solare durante l’eclissi totale del 2017

    [..]

  4. Stima del raggio solare durante l’eclissi anulare-totale del 2023

    [..]

  5. Stima del raggio solare durante l’eclissi totale del 2024

    [..]

L’articolo completo è su COELUM ASTRONOMIA N°267 prenotalo finché disponibile.

 

 

SCOPRI LA SECONDA APOC DEL 2024!

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QUALE IMMAGINE SARA’ STATA SCELTA COME APOC PER IL NUMERO 267 DI COELUM?

A partire dal numero 266, Coelum sceglie gli scatti più caratteristici
ed interessanti tra tutti quelli caricati in PHOTOCOELUM.
6 le immagini che NEL 2024 riceveranno il riconoscimento
“apoc – Astronomy picture of coelum “.
una potrebbe essere PROPRIO LA tua, carica i tuoi lavori in photocoelum.

 

Scopri l’APOC n°2 in Coelum Astronomia 267 II 2024

La APOC n°1 è stata assegnata a Lorenzo Busilacchi per la Arp 273 Rosa Cosmica

Raggio Laser nello Spazio fino a 16 milioni di km

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Tempo di lettura: 3 minuti

Ricevuto un messaggio (da 16 milioni di chilometri) trasmesso da un raggio laser nello spazio ed il SETI sorride.

La NASA ha inviato e ricevuto con successo un messaggio trasmesso con un raggio laser dallo spazio profondo (da 16 milioni di chilometri) : un passo enorme verso il futuro delle comunicazioni spaziali.  Si tratta di circa 40 volte più lontano della Luna dalla Terra.

A cosa è servito il test

Tradizionalmente, utilizziamo le onde radio per comunicare con veicoli spaziali distanti , anche se frequenze di luce più elevate, come il vicino infrarosso, offrono un aumento della larghezza di banda e quindi un enorme aumento della velocità dei dati. Il test del laser fa parte dell’esperimento Deep Space Optical Communications (DSOC) della NASA e il successo del collegamento di comunicazione è noto come “prima luce”. Se consideriamo la luce infrarossa, è possibile facilmente tramutare le sue onde in forma laser. Ciò non farà muovere la luce più velocemente, ma riordina e vincola il suo raggio a un canale stretto. Ciò richiede molta meno energia di una dispersione di onde radio ed è più difficile da intercettare.

Lo strumento LaserSETI

L’utilizzo della tecnologia laser è da poco tempo balzata anche agli onori delle cronache SETI.

Un nuovo strumento di indagine chiamato appunto LaserSETI e sviluppato da Eliot Gillum del SETI Institute da un nuovo alla ricerca SETI affiancando la radiostronomia.

(https://www.youtube.com/watch?v=Ch3FENZKt0s)

LaserSETI è uno strumento particolarmente sensibile agli impulsi singoli di millisecondi che potrebbero essere stati trascurati in precedenti rilevamenti astronomici con tecniche simili. Sfruttando la monocromaticità  come una caratteristica intrinseca dei laser, è possibile per questo tipo di analisi utilizzare sensori a stato solido e lenti bidimensionali. Tali sensori sono di facile reperibilità infatti disponibili commercialmente come sensori per telecamere video. Su questa Il dispositivo di Gillum utilizza tali telecamere con una lente commerciale ad apertura grandangolare  per la copertura di 75 gradi di cielo. Dietro la lente c’è una griglia che trasforma qualsiasi sorgente luminosa nel campo visivo della telecamera in uno spettro simile a un arcobaleno doppio. Mentre le stelle produrranno uno spettro completo dal blu al rosso, un laser si presenterà solo alla sua lunghezza d’onda caratteristica. Il dispositivo LaserSETI dispone di due telecamere identiche, ruotate di 90 gradi l’una rispetto all’altra lungo l’asse di visualizzazione, che permette la risposta dell’arcobaleno doppio ed  aiuta ad eliminare falsi allarmi dovuti ai raggi cosmici ed altre possibili inteferenze. Attualmente sono due gli strumenti installati presso il Haleakala Observatory alle Hawaii, ma il progetto prevede l’installazione di almeno 11 o 12 strumenti in location strategiche nel mondo.

L’Italia, già partner attivo dell’Università di Berkeley con il radiotelescopio da 65 metri dell’osservatorio di Cagliari, potrebbe diventare partner anche del progetto LaserSETI, dato che INAF può  offrire una delle più ambite location per le osservazioni astronomiche. Le osservazioni laser sono del tipo notturno, quindi l’importanza di un cielo pulito e notti prive di intemperie sono condizioni fondamentali per la buona riuscita della ricerca. L’Italia dispone di due siti interessanti alle isole Canarie. Il primo sull’isola di La Palma ospita il telescopio Galileo ( https://www.youtube.com/watch?v=c-z-R6ZC1Tk) , il secondo nell’isola di Tenerife ospita le postazioni dei nuovi telelescopi Cherenkov appartenenti al network di CTA.  Le isole Canarie hanno un cielo estremamente sereno con non più di 20 giorni all’anno di pioggia, un paradiso per gli astronomi.

Completato il programma per DONNE fra le STELLE 2024

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Dopo il grande successo delle scorse edizioni sarà Abano Terme (PD), cittadina termale del padovano, ad ospitare la terza edizione di “Donne fra le stelle” nelle giornate del 22-23-24 marzo 2024, con un ricco calendario di convegni e iniziative collaterali.

Anche Francesco Veltri e Molisella Lattanzi (rispettivamente autore e direttrice di COELUM) fra i relatori.

Ad Abano Terme, dal 22 al 24 marzo 2024, si terrà la

DONNE TRA LE STELLE

Ventidue  scienziate e ricercatrici provenienti dai principali istituti e centri di ricerca europei nel campo della fisica, astronomia, astronautica, astrofisica e ingegneria aerospaziale si racconteranno, come donne e come professioniste, attraverso un linguaggio accessibile e coinvolgente, il 22, 23 e 24 marzo prossimo in quel di Abano Terme, cittadina termale della provincia di Padova che si candida a diventare la capitale dell’aerospazio in rosa per la terza edizione di “Donne fra le stelle”

Ad accompagnarle, durante tutta la tre giorni, l’attore e cantante Riccardo Mei, voce narrante di numerosi programmi Rai (Superquark, Kilimangiaro, Voyager, Rai Storia, Freedom oltre il confine…) e di documentari del National Geographic.

“Donne fra le stelle” è un’associazione nata dal desiderio di illustrare le meraviglie del cosmo al grande pubblico attraverso la voce di astronaute, astrofisiche, ingegnere aerospaziali e ricercatrici, per rendere protagoniste le donne sottolineandone l’impegno e i risultati in ambito scientifico, dove è ancora nettamente prevalente la presenza maschile.

L’obiettivo dell’associazione è stimolare i giovani, soprattutto le ragazze, a scegliere le materie STEM nel loro percorso di studi e lo fa organizzando simposi itineranti su tutto il territorio nazionale e con la collaborazione dei più importanti centri di ricerca a livello mondiale (ASI Agenzia Spaziale Italiana, ESA European Space Agency, NASA National Aeronautics Space Administration).

STEM è un acronimo inglese che racchiude gli indirizzi di studio degli ambiti accademici e lavorativi di Science, Technology, Engineering e Mathematics e alcuni dati tratti dagli elaborati dal Consorzio Inte runiversitario Alma Laurea hanno dimostrato che le donne hanno performance più brillanti degli uomini: le donne STEM sono caratterizzate da un voto medio di laurea lievemente più alto (103,6 su 110 contro 101,6 degli uomini) e da una maggiore regolarità negli studi (tra le donne il 46,1% ha concluso gli studi nei tempi previsti contro il 42,7% degli uomini).

Il simposio di quest’anno si svolgerà principalmente presso il prestigioso Teatro Marconi di Abano Terme , mentre saranno tante e coinvolgenti le attività collaterali alla parte più scientifica e divulgativa.

Nella piazza del Sole e della Pace, antistante il Teatro Marconi, chiunque avrà l’opportunità di osservare il cielo notturno e diurno con i telescopi messi a disposizione gratuitamente dal Gruppo Astrofili di Padova, partner dell’evento. Vi saranno anche workshop gratuiti per i bambini con attività laboratoriali di disegni e osservazione al telescopio, fino al rilascio di un attestato di partecipazione con la foto sulla riproduzione dell’Apollo 11.

Nella piazza sarà infatti presente anche l’installazione in riproduzione 1:1 del modulo di allunaggio dell’Apollo 11 realizzato da Y40 The Deep Joy, oltre che un’esposizione di astrofotografie davvero suggestive: nebulose, galassie…tutto quello che serve per trasportare visitatori e passanti “dentro” le meraviglie del cosmo.

Tra gli altri eventi collaterali da segnalare, la sera del 23 marzo ci sarà il concerto di Riccardo Mei che, con la sua voce calda e avvolgente, si esibirà in un meraviglioso viaggio tra i classici del Jazz, accompagnato dalla Young Art Jazz Ensemble (biglietti disponibili su Eventbrite https://www.eventbrite.com/e/biglietti-riccardo-mei-in-concerto-798769760857?aff=ebdsoporgprofile).

Ulteriore novità di questa edizione aponense è anche il prestigioso Premio nazionale per la divulgazione scientifica spaziale dedicato a Rossella Panarese, giornalista di Radio3Tre scienza.

IL Premio è patrocinato da Confindustria Veneto Est ed è aperto alla partecipazione di ricercatori, giornalisti, studiosi, autori, registi, blogger che con il loro impegno e attraverso la loro arte di comunicatori hanno contribuito a divulgare la scienza spaziale e con l’obiettivo di contribuire a declinare la divulgazione scientifica riguardante lo Spazio a più voci rendendola accessibile, fruibile e di interesse comune attribuendo alla cultura scientifica un ruolo centrale nella società. Sei saranno i vincitori finali per le due categorie in concorso, Under 30 e Over 30.

La giuria del Premio è costituita da esponenti del mondo scientifico, accademico, della ricerca, della comunicazione, delle tv, del cinema e della società.

Questi i nomi: Leila Zoia, responsabile comunicazione Dipartimento Astronomia Università di Padova, Antonella Attili, Attrice,  Cristiana Ruggeri, giornalista televisiva Rai TG 2, Giampaolo Colletti, Presidente WebTv Italia, il Sole 24 Ore, Cristina Borile, Imprenditrice e Vice Presidente Confindustria Turismo Veneto, Riccardo Mei, attore e doppiatore programmi televisivi Rai Mediaset, Elena Rigon imprenditrice marchio Eledor, Romina Gobbo, giornalista, Alessandra Turco, autrice.

Inclusività è sicuramente tra le parole d’ordine di questo evento che, per essere accessibile a tutti e a tutte, verrà trasmesso anche in diretta streaming dalla pagina Facebook di Donne fra le stelle ( https://www.facebook.com/donnefralestelle2024) . Un collegamento fruibile da chiunque e fortemente raccomandato soprattutto alle scuole secondarie che potranno così offrire ai propri studenti e alle proprie studentesse l’opportunità di aprire dei dialoghi di valore e, soprattutto, d’ispirazione per le future generazioni.

Donne fra le stelle ha il patrocinio della città di Abano Terme, Comune di Padova, Provincia di Padova, Regione Veneto, Federalberghi Terme Abano Montegrotto, Therme Abano Montegrotto, Confindustria Veneto Est, Parco Regionale dei Colli Euganei, Università degli Studi di Padova, Ascom Confcommercio Padova, Fondazione Marisa Bellisario, Associazione Donne Scienza

Info: https://donnefralestelle.it/

L’evento ospiterà anche la presentazione del libro “”500 e uno quiz di astronomia per imparare e divertirsi” di Francesco Veltri (autore di Coelum). L’appuntamento è per il sabato 10 ore 10:00 presso il Teatro Marconi Abano Terme. Interverranno Luigi Bignami e Molisella Lattanzi (direttrice di Coelum Astronomia)

 

 

Nuova teoria post-quantistica della gravità rigetta l’esistenza della materia oscura

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È stata annunciata la nascita di una nuova teoria post-quantistica della gravità, che tratta quest’ultima in modo classico preservando però gli effetti quantistici (come i pattern a cerchi concentrici generati dal fenomeno dell’interferenza in alcuni esperimenti). Crediti: Isaac Young.
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Da anni gli scienziati cercano di conciliare la relatività generale di Einstein e la meccanica quantistica in una teoria unificata, la gravità quantistica, nella speranza di individuare un unico formalismo matematico capace di spiegare i fenomeni fisici sia su larga che su piccola scala. L’insuccesso degli innumerevoli tentativi finora effettuati ha indotto il fisico inglese Jonathan Oppenheim a domandarsi se quantizzare la gravità sia realmente la mossa giusta: perché, al contrario, non concentrarsi soltanto sulla gravità, modificando la relatività generale? Da qui la proposta di una nuova teoria post-quantistica della gravità, che sembra escludere l’esistenza della materia oscura.

Le due teorie pilastro della fisica moderna sono la relatività generale di Einstein, che delinea la geometria dello spazio-tempo impressa dalla gravità, e la meccanica quantistica, che invece si occupa della fenomenologia relativa alla materia e alla radiazione a scale atomiche e subatomiche. Poiché le equazioni di Einstein mettono in relazione lo spazio-tempo dominato dalla gravità con la materia, presente sotto forma di masse che ne deformano la struttura, notevole sforzo è stato messo nel cercare di combinare questi due aspetti in un’unica trattazione matematica: nasce così l’ipotesi della gravità quantistica. 

Equazioni di Einstein per la gravità quantistica. Il termine di sinistra rappresenta la gravità (tensore di Einstein), mentre quello di destra la materia (tensore energia impulso). In particolare, i simboli delle parentesi (brackets) e del cappelletto in cima al tensore energia impulso indicano che esso viene trattato come un operatore quantistico. Crediti: Oppenheim.

In un recente studio su tale tematica il ricercatore inglese Jonathan Oppenheim si è chiesto se sia però davvero indispensabile quantizzare la gravità per ottenere un quadro fisico unitario. A tal  proposito, nella sua teoria post-quantistica della gravità Oppenheim sembra propendere per una risposta negativa. Egli sostiene infatti che lo spazio-tempo possa essere inteso come un fluido continuo dal punto di vista non solo macroscopico, ma anche microscopico: esso dovrebbe dunque essere modellizzato interamente nel modo classico, ovvero come prescritto dalla relatività generale, mentre il formalismo quantistico verrebbe riservato esclusivamente alla materia. Tuttavia, eliminare la discretizzazione (i.e., quantizzazione) dello spazio-tempo alle piccole dimensioni implica ammettere che esso, al pari della metrica che lo descrive, sia soggetto a fluttuazioni stocastiche (i.e., casuali), che lo renderebbero “traballante” anziché liscio. Ma, soprattutto, questo comportamento stocastico sarebbe responsabile di una modifica della stessa relatività generale a bassi valori di accelerazione gravitazionale, ossia nel cosiddetto “regime diffusivo”, perché qui le fluttuazioni stocastiche risulterebbero non trascurabili. Invero, esse avrebbero l’effetto di una forza entropica: stimolando il moto browniano (i.e., il moto casuale delle particelle del fluido cosmico), esse fornirebbero cioè alle stelle con minore velocità una quantità di energia aggiuntiva, accelerandole. Dal momento che tali stelle sono situate nelle zone più esterne delle galassie, dove appunto vale il regime diffusivo per via della più bassa gravità, esse andrebbero a giustificare il tratto piatto delle curve di rotazione, che ci aspetterebbe fosse anzi kepleriano (i.e., declinante) proprio per il rallentamento del moto stellare a grandi raggi. Ergo, le fluttuazioni stocastiche sostituirebbero l’attrazione gravitazionale esercitata dagli aloni di materia oscura che circondano le galassie sulle stelle ai loro margini: in altre parole, in questo scenario l’esistenza della materia oscura non sarebbe più necessaria.

Curva di rotazione di una galassia, che mostra l’andamento della velocità delle stelle in funzione del raggio, ovvero della distanza dal centro galattico. La linea rossa indica la predizione teorica (tratto kepleriano a grandi raggi), mentre quella verde ciò che viene osservato (tratto piatto a grandi raggi). Crediti: R. Pogge.

D’altronde, nota Oppenheim, la sua non è la prima teoria alternativa della gravità a giungere a tale conclusione: per esempio, già nel 1983 la teoria della gravità modificata di Milgrom (i.e.,  MOND,  Modified Newtonian Dynamics), era riuscita a spiegare l’appiattimento delle curve di rotazione delle galassie attraverso una revisione del valore della gravità alle basse accelerazioni, senza pertanto chiamare in causa la materia oscura. Il rinnovato interesse nei confronti della MOND a seguito dei risultati emersi nelle ultime simulazioni dinamiche di ammassi di galassie e supportati da evidenze osservative costituisce un punto di forza del ragionamento di Oppenheim. Ciononostante, la neonata teoria gravitazionale post-quantistica dello scienziato è ancora giudicata piuttosto controversa a causa dell’attuale mancanza di test: la formulazione matematica, per quanto rigorosa e dettagliata, certo non basta a dissolvere lo scetticismo del mondo astrofisico. Ciò è tanto più vero se si considera che numerose e svariate sono ad oggi le prove a favore della materia oscura, prima fra tutte la formazione delle strutture nell’Universo primordiale. Ma, come scrive Oppenheim, “la gravità è famosa per essere truffatrice”: meglio  insomma non lasciarsi ingannare, scartando a priori delle congetture che potrebbero infine non rivelarsi poi così improbabili. Ad ogni modo, il fisico inglese assicura che, prima di compiere affermazioni azzardate, saranno realizzate simulazioni numeriche e posti vincoli basati sui dati osservativi. Tutto fa quindi pensare che ne sapremo presto di più.

Fonte: arXiv.

L’asteoride (6086) Vrchlicky è binario: uno straordinario successo per gli astrofili italiani

Rappresentazioine artistica dell'asteroide
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(6086) Vrchlicky è binario è arrivata la conferma dopo il lavoro di analisi e studio svolto dalla sezione asteroidi UAI e i numerosi osservatori affiliatiuno straordinario successo per gli astrofili italiani

Gli asteroidi binari rappresentano un’ affascinante classe di corpi celesti. Costituiti da due corpi che orbitano attorno ad un comune centro di massa, questi sistemi offrono una finestra unica sulla natura e sulla formazione stessa degli asteroidi, nonché sui processi dinamici che plasmano il nostro sistema solare. La scoperta di asteroidi binari è una pagina relativamente recente nella storia dell’astronomia rispetto alla lunga tradizione di osservazione degli asteroidi singoli, ma rappresenta un campo di studio di grande importanza per approfondire le nostre conoscenze sulle forze gravitazionali in gioco, sull’evoluzione del sistema solare e sui processi collisionali che hanno contribuito a modellare l’ambiente spaziale attorno a noi.

Nel panorama dell’astronomia moderna, la scoperta di questi fenomeni accende l’immaginazione di scienziati e appassionati allo stesso modo. La recentissima scoperta della natura binaria dell’asteroide (6086) Vrchlicky, come riportato nel Circular del Central Bureau for Astronomical Telegrams (CBET 5366), è una di queste ed ha segnato un significativo successo per la sezione di ricerca asteroidi dell’Unione Astrofili Italiani (UAI).

L’asteroide 6086 Vrchlicky era stato identificato come uno dei target fotometrici principali per la sezione di ricerca e già le prime osservazioni avevano rivelato piccole attenuazioni nella sua luminosità. Queste variazioni hanno subito acceso il sospetto che potessero essere il risultato di eventi di eclisse o occultazione causati da un satellite naturale, ipotesi che ovviamente richiedeva ulteriori osservazioni per essere confermata. A causa delle condizioni meteorologiche avverse e per scongiurare il rischio di perdere la conferma di questa scoperta è quindi stata richiesta la collaborazione del gruppo BinAst, coordinato dall’astronomo P. Pravec. Questo sforzo congiunto ha portato a osservazioni decisive nel mese di dicembre, che hanno confermato, senza ombra di dubbio, la natura binaria dell’asteroide (6086) Vrchlicky.

I dati raccolti hanno rivelato che il periodo di rotazione del corpo principale dell’asteroide è di 2.7674 ± 0.0001 ore, mentre il periodo orbitale del suo satellite è di 22.61 ± 0.01 ore. Gli eventi di eclisse e occultazione rilevati hanno mostrato una variazione di luminosità di 0.05 e 0.08 magnitudini, permettendo di stimare il rapporto inferiore dei diametri tra il satellite e l’asteroide principale pari a 0.22. Questo significa che, mentre il corpo principale dell’asteroide ha un diametro approssimativo di 10 km, il satellite misura poco più di 2 km.

Questo prestigioso risultato è stato possibile anche grazie al prezioso contributo di numerosi osservatori affiliati alla sezione asteroidi UAI tra i quali L. Buzzi e M. Calabrò (Schiaparelli Observatory), G. Galli (GiaGa Observatory), P. Bacci e M. Maestripieri (San Marcello Pistoiese Observatory), N. Montigiani e M. Mannucci (Osservatorio Astronomico Margherita Hack), A. Marchini e R. Papini (Siena University Astronomical Observatory), N. Ruocco (Osservatorio Astronomico Nastro Verde), M. Tombelli, M. Iozzi e M. Lombardo (Beppe Forti Astronomical Observatory),  G. Scarfi (Iota Scorpii Observatory), G. Baj (M57 Observatory), con una menzione speciale per il coordinamento e l’analisi dei dati condotti da L. Franco (Osservatorio Balzaretto) e P. Pravec (Osservatorio di Ondrejov).

La scoperta della natura binaria dell’asteroide (6086) Vrchlicky rappresenta un bellissimo esempio di come la collaborazione e la condivisione delle competenze possano portare a risultati straordinari in campo astronomico. Questo successo non solo aggiunge una nuova pagina alla nostra comprensione degli asteroidi e dei sistemi binari asteroidali, ma sottolinea anche l’importanza della collaborazione internazionale nella ricerca astronomica.

Il telegramma astronomico completo può essere letto qui: http://www.cbat.eps.harvard.edu/iau/cbet/005300/CBET005366.txt

 


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Webb scruta i viticci di NGC 604

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Immagine della NIRCam (Near-Infrared Camera) del James Webb Space Telescope della NASA/ESA/CSA della regione di formazione stellare NGC 604 che mostra come i venti stellari provenienti da giovani stelle calde e luminose scavano cavità nel gas e nella polvere circostanti. NASA, ESA, CSA, STScI
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NGC 604 ripresa dalle due camere JWST: Miri e NIRCam

Due nuove immagini ottenute dalla NIRCam (Near-Infrared Camera) e dal MIRI (Mid-Infrared Instrument) del James Webb Space Telescope della NASA/ESA/CSA mostrano la regione di formazione stellare NGC 604, situata nella Galassia del Triangolo (M33), 2,73 milioni di luci -anni di distanza dalla Terra. In queste immagini, bolle cavernose e filamenti di gas estesi disegnano un arazzo di nascita stellare.

Al riparo tra gli involucri polverosi di gas di NGC 604 ci sono più di 200 tra i tipi di stelle più caldi e massicci, tutti nelle prime fasi della loro vita. Questi tipi di stelle sono conosciuti come tipi B e tipi O, le ultime delle quali possono avere più di 100 volte la massa del nostro Sole. È abbastanza raro trovarne una tale concentrazione nell’Universo vicino. In effetti, non esiste una regione simile all’interno della nostra galassia, la Via Lattea.

Questa concentrazione di stelle massicce, combinata con la sua distanza relativamente ravvicinata, fa sì che NGC 604 offra agli astronomi l’opportunità di studiare questi oggetti in un momento affascinante, all’inizio della loro vita.

Nell’immagine NIRCam nel vicino infrarosso di Webb, le caratteristiche più evidenti sono viticci e grumi di emissione che appaiono di colore rosso vivo, che si estendono da aree che sembrano radure o grandi bolle nella nebulosa. I venti stellari provenienti dalle giovani stelle più luminose e calde hanno scavato queste cavità, mentre la radiazione ultravioletta ionizza il gas circostante. L’idrogeno ionizzato appare come un bagliore spettrale bianco e blu.

Le strisce arancioni brillanti nell’immagine nel vicino infrarosso di Webb indicano la presenza di molecole a base di carbonio note come idrocarburi policiclici aromatici o IPA. Questo materiale svolge un ruolo importante nel mezzo interstellare e nella formazione di stelle e pianeti, ma la sua origine è un mistero. Man mano che ci si allontana dalle immediate schiarite di polvere, il rosso più profondo indica l’idrogeno molecolare. Questo gas più freddo è un ambiente privilegiato per la formazione stellare.

La straordinaria risoluzione di Webb fornisce anche approfondimenti su funzionalità che in precedenza apparivano non correlate al cloud principale. Ad esempio, nell’immagine di Webb, ci sono due stelle giovani e luminose che scavano buchi nella polvere sopra la nebulosa centrale, collegate attraverso il gas rosso diffuso. Nelle immagini in luce visibile del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA , queste apparivano come macchie separate.

Immagine del MIRI (strumento per il medio infrarosso) del James Webb Space Telescope della NASA/ESA/CSA della regione di formazione stellare NGC 604 mostra come grandi nubi di gas e polvere più freddi brillano alle lunghezze d’onda del medio infrarosso. Questa regione è un focolaio di formazione stellare e ospita più di 200 tra le stelle più calde e massicce, tutte nelle prime fasi della loro vita.
Al centro dell’immagine c’è una nebulosa sullo sfondo nero dello spazio. La nebulosa è composta da sottili filamenti di nubi azzurre. Al centro-destra delle nuvole blu c’è una grande bolla cavernosa. Il bordo inferiore sinistro di questa bolla cavernosa è pieno di sfumature di gas rosa e bianco. Centinaia di stelle fioche riempiono l’area circostante la nebulosa.
Credito:
NASA, ESA, CSA, STScI

La visione di Webb sulle lunghezze d’onda del medio infrarosso illustra anche una nuova prospettiva sull’attività diversificata e dinamica di questa regione. Nella vista MIRI di NGC 604, ci sono notevolmente meno stelle. Questo perché le stelle calde emettono molta meno luce a queste lunghezze d’onda, mentre le nubi più grandi di gas e polvere più freddi brillano. Alcune delle stelle viste in questa immagine dalla galassia circostante sono supergiganti rosse: stelle fredde ma molto grandi, centinaia di volte il diametro del nostro Sole. Inoltre, anche alcune delle galassie di sfondo apparse nell’immagine NIRCam svaniscono. Nell’immagine MIRI, i viticci blu del materiale indicano la presenza di IPA (idrocarburi policiclici aromatici).

Si stima che NGC 604 abbia circa 3,5 milioni di anni. La nube di gas incandescenti si estende per circa 1300 anni luce.

Webb è una partnership internazionale tra NASA, ESA e l’Agenzia spaziale canadese (CSA).

Antenne astrometriche per onde gravitazionali

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Mariateresa Crosta, ricercatrice all’Osservatorio astrofisico dell’Inaf di Torino e prima autrice dello studio sulle antenne astrometriche per onde gravitazionali pubblicato su Scientific Reports. Crediti: Federica Santucci/Inaf Torino
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UN’INTUIZIONE NATA ALL’INAF E DERIVATA DAI MODELLI DI RELATIVITÀ GENERALE

Un nuovo principio di rilevazione delle onde gravitazionali, basato sulla misura delle variazioni da esse indotte sulle distanze angolari fra le stelle, promette di fornire un approccio complementare a quello degli interferometri lineari. Ne parliamo con Mariateresa Crosta dell’Istituto nazionale di astrofisica, prima autrice dell’articolo che descrive l’idea, pubblicato la settimana scorsa su Scientific Reports

La recente conferma sperimentale delle onde gravitazionali con le grandi antenne lineari Ligo e Virgo ha dato grande impulso alla ricerca e caratterizzazione fisica di candidate sorgenti di onde gravitazionali, aggiungendo un tassello fondamentale all’astrofisica multi-messaggera. Nuovi esperimenti da Terra sono in procinto di unirsi agli sforzi di rivelazione e la missione Lisa implementerà modalità simili ma specializzate per lo spazio. L’obiettivo primario di tali imprese – e di quelle a venire, come l’Einstein Telescope – è la completa caratterizzazione delle onde gravitazionali, ovvero la determinazione in ampiezza e frequenza della deformazione spazio-temporale associata, insieme all’individuazione della direzione delle possibili sorgenti, al fine di scoprire la natura fisica delle stesse attraverso campagne osservative multi-lunghezza d’onda e multi-messaggere, nonché l’astrofisica di oggetti compatti e il loro ruolo nella cosmologia.

Un nuovo approccio sperimentale, illustrato in un articolo a guida Inaf pubblicato la settimana scorsa su Scientific Reports, promette ora una rivoluzione nel settore: usare le stelle – e in particolare le variazioni della loro distanza angolare indotte dalla perturbazione dello spaziotempo – come rivelatori di onde gravitazionali. Alternativo alle altre tecniche, unito all’utilizzo di configurazioni ottiche a più linee di vista “convogliate” su un piano focale comune, il rilevamento astrometrico di onde gravitazionali consentirebbe di misurare contemporaneamente all’ampiezza, e con un’accuratezza senza precedenti, anche la direzione di arrivo dei segnali gravitazionali: un’informazione, quest’ultima,  fondamentale per le campagne di caratterizzazione fisica multi-frequenza e multi-messaggera. E rappresenterebbe uno strumento ad altissima efficienza: consentirebbe non solo una verifica indipendente e complementare delle altre tecniche, ma anche di rilevare onde gravitazionali a frequenze per le quali non sono attualmente previsti altri rivelatori.

«L’idea nasce da un’intuizione derivata dai modelli di relatività generale per le misure astrometriche al micro-arcosecondo del satellite Gaia», spiega la prima autrice dello studio, Mariateresa Crosta dell’Inaf di Torino. «La sua originalità sta nella sua impostazione tutta differenziale. L’antenna astrometrica da noi proposta utilizza direttamente l’angolo tra una coppia stretta (anche solo prospettica) di due sorgenti puntiformi otticamente risolte. Infatti, come formalizzato nel lavoro pubblicato, la perturbazione angolare indotta da un’onda gravitazionale risulta direttamente proporzionale alla distorsione spaziotemporale a essa associata e inversamente proporzionale all’angolo (risolto) tra la coppia di stelle, pertanto amplificata dalla risoluzione del telescopio, aumentando la quale si risolvono separazioni sempre più strette. In perfetta analogia “duale” con le antenne  lineari, l’angolo della coppia di stelle materializza un braccio angolare: così come aumentando la lunghezza ‘L’ del braccio di un’antenna lineare l’effetto della perturbazione diventa più facile da misurare, è risolvendo angoli sempre più piccoli che possiamo aumentare la misurabilità dell’effetto dell’onda gravitazionale indotto su un braccio (angolare)».

Facendo ricorso a sorgenti in cielo, il principio ricorda per alcuni aspetti quello alla base del Pulsar Timing Array (Pta), grazie al quale è stato possibile rivelare per la prima volta un brusio di fondo dovuto a onde gravitazionali a bassissima frequenza. Mentre il Pulsar Timing Array misura i residui degli intervalli di tempo di arrivo del segnale nella rete di pulsar riconducibili a variazioni dello spazio-tempo indotte da un’onda gravitazionale, l’antenna astrometrica misura, in pratica, la parte spaziale del segnale. Il vantaggio della formulazione differenziale, ovvero in termini di angoli tra le sorgenti in cielo, consente di riscrivere una funzione di correlazione, di costruire una “rete” tra i vari punti del cielo, in tutto simile a quella del Pulsar Timing Array. «Difatti stiamo approntando una versione digitale di questo nostro nuovo principio di osservazione astrometrico per le onde gravitazionali in modo da sfruttare le misure astrometriche di Gaia, accumulate in dieci anni e più di osservazioni, per confrontarci, e complementarci, proprio con il Pta e vedere coincidenze per onde gravitazionali con periodi di anni», dice Crosta.

Insomma, l’idea – sostengono gli autori dello studio – promette di essere un punto di svolta nella scienza delle onde gravitazionali, che è appena agli inizi e resterà alla frontiera della ricerca scientifica per molti decenni. Certo, oggigiorno non esiste un telescopio capace di misurare variazioni angolari originate da onde gravitazionali prodotte da oggetti compatti in fase di coalescenza alle distanze extragalattiche. «Tuttavia», osserva Crosta, «una prima simulazione nel caso di buchi neri stellari massicci binari (per esempio, tra 20 e 80 masse solari) in pre-coalescenza che emettono segnali (quasi) periodici con frequenze dai centesimi ai decimi di Hz, ovvero con periodi dai 100 ai 10 secondi, indica che la variazione angolare indotta dall’onda gravitazionale potrebbe essere oltre la soglia delle decine di milionesimi di arcosecondo fino a distanze di cinquemila parsec dal Sole. E una facility come il Very Large Telescope Interferometer (Vlti) dell’Eso ha già una risoluzione angolare dell’ordine del millesimo di arcosecondo, equivalente – come riportato nel sito dell’Eso – a distinguere i due fari di un’automobile alla distanza della Luna. Stiamo di fatto valutando di testare il principio dell’antenna astrometrica gravitazionale. Va stabilito ovviamente un tempo di puntamento sufficiente a garantire la copertura di più periodi dell’onda, auspicando che oggetti così massicci esistano in numero sufficiente nella nostra galassia».

Vai alla notizia originale: Media INAF

 


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Immagini straordinarie del processo di formazione dei pianeti catturate dal Very Large Telescope (VLT)

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Le immagini mostrate sono state catturate utilizzando lo strumento Spettro-Polarimetrico High-contrast Exoplanet REsearch ( SPHERE ) montato sul Very Large Telescope ( VLT ) dell'ESO. Crediti: ESO/C. Ginski, A. Garufi, P.-G. Valegard et al.
Tempo di lettura: 4 minuti

Un’indagine innovativa rivela i segreti della nascita del pianeta attorno a dozzine di stelle

In una serie di studi, un team di astronomi ha gettato nuova luce sull’affascinante e complesso processo di formazione dei pianeti. Le straordinarie immagini, catturate utilizzando il Very Large Telescope dell’Osservatorio Europeo Australe (VLT) in Cile, rappresentano una delle più grandi indagini mai effettuate sui dischi di formazione dei pianeti. La ricerca riunisce le osservazioni di oltre 80 giovani stelle che potrebbero avere pianeti in formazione attorno a loro, fornendo agli astronomi una ricchezza di dati e approfondimenti unici su come nascono i pianeti in diverse regioni della nostra galassia.

” Si tratta davvero di un cambiamento nel nostro campo di studi “, afferma Christian Ginski, docente presso l’Università di Galway, in Irlanda, e autore principale di uno dei tre nuovi articoli pubblicati il 05 marzo su Astronomy & Astrophysics . “ Siamo passati dallo studio approfondito dei singoli sistemi stellari a questa vasta panoramica di intere regioni di formazione stellare. 

Ad oggi sono stati scoperti più di 5000 pianeti orbitanti attorno a stelle diverse dal Sole, spesso all’interno di sistemi nettamente diversi dal nostro Sistema Solare. Per capire dove e come nasce questa diversità, gli astronomi devono osservare i dischi ricchi di polvere e gas che avvolgono le giovani stelle, le culle stesse della formazione dei pianeti.

Proprio come i sistemi planetari maturi, le nuove immagini mostrano la straordinaria diversità dei dischi che formano i pianeti. ” Alcuni di questi dischi mostrano enormi bracci a spirale, presumibilmente guidati dall’intricato balletto dei pianeti in orbita “, afferma Ginski. ” Altri mostrano anelli e grandi cavità scavate dalla formazione dei pianeti, mentre altri ancora sembrano lisci e quasi dormienti“, aggiunge Antonio Garufi, astronomo dell’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), e autore principale di uno degli articoli.

Il team ha studiato un totale di 86 stelle in tre diverse regioni di formazione stellare della nostra galassia: Taurus e Chamaeleon I, entrambi a circa 600 anni luce dalla Terra, e Orion, una nube ricca di gas a circa 1600 anni luce da noi noto per essere il luogo di nascita di numerose stelle più massicce del Sole. Le osservazioni sono state raccolte da un grande team internazionale, composto da scienziati provenienti da più di 10 paesi.

Il team è stato in grado di raccogliere diverse informazioni chiave dal set di dati. Ad esempio, in Orione hanno scoperto che le stelle in gruppi di due o più avevano meno probabilità di avere grandi dischi di formazione planetaria. Questo è un risultato significativo dato che, a differenza del nostro Sole, la maggior parte delle stelle della nostra galassia hanno delle compagne. Oltre a ciò, l’aspetto irregolare dei dischi in questa regione suggerisce la possibilità che vi siano pianeti massicci incorporati al loro interno, il che potrebbe causare la deformazione e il disallineamento dei dischi.

Dischi che formano pianeti attorno a giovani stelle e la loro posizione all’interno della nube ricca di gas del Toro, a circa 600 anni luce dalla Terra. ESO/A.Garufi et al.; RABBIA

 

Dischi che formano pianeti attorno a giovani stelle e la loro posizione all’interno della nube ricca di gas di Camaleonte I, a circa 600 anni luce dalla Terra. Crediti:
IT/C. Ginski et al.; ESA/Herschel

Sebbene i dischi che formano i pianeti possano estendersi per distanze centinaia di volte maggiori della distanza tra la Terra e il Sole, la loro posizione a diverse centinaia di anni luce da noi li fa apparire come minuscoli punte di spillo nel cielo notturno. Per osservare i dischi, il team ha utilizzato il sofisticato strumento spettro-polarimetrico ad alto contrasto Exoplanet REsearch ( SPHERE ) montato sul VLT dell’ESO . Il sistema di ottica adattiva estrema all’avanguardia di SPHERE corregge gli effetti turbolenti dell’atmosfera terrestre, producendo immagini nitide dei dischi. Ciò significa che il team è stato in grado di acquisire immagini di dischi attorno a stelle con masse pari alla metà della massa del Sole, che in genere sono troppo deboli per la maggior parte degli altri strumenti oggi disponibili. Ulteriori dati per l’indagine sono stati ottenuti utilizzando lo strumento X-shooter del VLT , che ha permesso agli astronomi di determinare quanto siano giovani e massicce le stelle. L’Atacama Large Millimeter/submillimeter ArrayALMA ), di cui l’ESO è partner, d’altro canto, ha aiutato il team a comprendere meglio la quantità di polvere che circonda alcune stelle.

Con l’avanzare della tecnologia, il team spera di scavare ancora più a fondo nel cuore dei sistemi di formazione dei pianeti. Il grande specchio da 39 metri del prossimo Extremely Large Telescope ( ELT ) dell’ESO , ad esempio, consentirà al team di studiare le regioni più interne attorno alle giovani stelle, dove potrebbero formarsi pianeti rocciosi come il nostro.

Per ora, queste immagini spettacolari forniscono ai ricercatori un tesoro di dati per aiutare a svelare i misteri della formazione dei pianeti. “ È quasi poetico che i processi che segnano l’inizio del viaggio verso la formazione dei pianeti e, in definitiva, la vita nel nostro Sistema Solare siano così belli ”, conclude Per-Gunnar Valegård, uno studente di dottorato presso l’Università di Amsterdam, Paesi Bassi, che ha condotto lo studio Orion. Valegård, che è anche insegnante part-time presso la Scuola Internazionale Hilversum nei Paesi Bassi, spera che le immagini ispirino i suoi alunni a diventare scienziati in futuro.

 

Fonti: ESO 

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