Home Articoli e Risorse On-Line L’astronomia e l’ottica di Leonardo da Vinci

L’astronomia e l’ottica di Leonardo da Vinci

Letto 57.414 volte
1
camera oscura
Camera Oscura
Tempo di lettura: 20 minuti

Ma quella [scienzia] delle linee visuali ha

partorito la scienzia dell’astronomia, la

quale è semplice prospettiva, perché son

tutte linee visuali e piramidi tagliate.

Leonardo, Libro di Pittura.

Per vedere la natura delli pianeti apri il tetto…

Codice Arundel, f. 279v

LEONARDO E IL BIASIMO DEI CONTEMPORANEI COLTI

Leonardo, l’uomo delle chimere.

Così lo definiva, con scarsa benevolenza, il raffinatissimo letterato Baldassarre Castiglione (1478-1529) nel Libro del cortigiano (1528): “Un altro dei primi pittori del mondo sprezza quell’arte dove è rarissimo, ed èssi posto ad imparar filosofia; nella quale ha così strani concetti e nove chimere, che esso con tutta la sua pittura non sapria dipingerle”.

D’altro canto, uno studioso moderno, L.M. Barkin, annota acutamente: “il Rinascimento si osservava in Leonardo, come in uno specchio, riconoscendosi e non riconoscendosi, restando ammirato ed infastidito”.

Questo ambiguo atteggiamento faceva sì che Leonardo godesse dell’incondizionata ammirazione di principi e re ma, allo stesso tempo, fosse oggetto del biasimo degli uomini di cultura suoi contemporanei. Le sue molteplici e, a volte, incomprensibili ricerche “filosofiche”, attraverso le quali avidamente indagava con stupefacente acutezza, e in totale solitudine, in ogni recesso dello scibile umano, sembravano fatte apposta per sollevare dubbi e recriminazioni.

La disapprovazione si esprimeva con parole simili a queste di Pietro da Novellara in una lettera ad Isabella d’Este, marchesa di Mantova e protettrice delle arti: “la vita di Leonardo è varia et indeterminata forte sì che par vivere a giornata […] dà opra forte alla geometria, impazientissimo al pennello”.

Ma che cosa gli veniva rimproverato?

Il noto studioso André Chastel sostenne la tesi che in Italia, e particolarmente alla corte papale, agli inizi del Cinquecento, la “[sua] capacità speculativa e [la sua] versatilità, risultavano insopportabili”.

Da buon francese, Chastel ci fa presentire che solo la superiore sensibilità di un re francese, Francesco I, poteva apprezzare la vastità di quel genio capace di affascinare e conquistare i sovrani più raffinati ed illuminati. Quello stesso genio così insensibilmente vilipeso dalle italiche genti.

In realtà Leonardo era un personaggio fuori e al disopra dei canoni intellettuali e culturali del tempo. Non si era mai visto nessuno prima di lui (“omo sanza lettere”, come, celiando, amava definirsi, riprendendo alla lettera le parole di Cicerone: homo sine ingeniis, sine litteris) capace di spaziare, con una profondità analitica sbalorditiva, dall’arte alla tecnologia, dagli arditi studi architettonici all’anatomia, dalla minuziosa analisi del volo degli uccelli ai tentativi di comprendere i meccanismi della visione.

Ciò che sconcertava i suoi contemporanei era il fatto che se si cercava l’artista ecco apparire d’incanto l’uomo di scienza. Quando si sarebbe voluto un pittore, ecco un architetto, uno scultore, un ingegnere, il disegnatore di scene teatrali, il progettista di giardini…

Ma, con buona pace di Chastel, ciò che più aveva colpito Francesco I era la sua straordinaria abilità di allestitore di scene teatrali e festaiole, ma anche quella di grande “affabulatore” e di inventore di rebus linguistici che rendevano tanto entusiasmanti le serate al castello sforzesco.

In Europa non si era infatti mai spento l’eco delle spettacolari feste di Lodovico il Moro (prima della sua rovinosa caduta), sapientemente realizzate dallo stesso Leonardo in ogni minimo dettaglio, dai costumi alle scene fino alla stesura delle pièce teatrali.

1 commento