Home News di Astronomia Finalmente trovata la metà della massa barionica del nostro universo che mancava...

Finalmente trovata la metà della massa barionica del nostro universo che mancava all’appello

Letto 16.087 volte
1
Discoveries seem to back up many of our ideas about how the universe got its large-scale structure Andrey Kravtsov (The University of Chicago) and Anatoly Klypin (New Mexico State University). Visualisation by Andrey Kravtsov
Tempo di lettura: 4 minuti
"Le nuove scoperte sembrano supportare molte delle nostre idee su come dovrebbe essere la struttura del nostro universo in larga scala" Andrey Kravtsov (University of Chicago) e Anatoly Klypin (New Mexico State University). Visualizzazione di Andrey Kravtsov.

Ormai conoscete bene la caccia alla Materia Oscura (oltre a segnalarvi e proporre numerosi articoli gli abbiamo anche dedicato un numero: Materia oscura, l’universo invisibile), una misteriosa sostanza che si pensa permei l’universo, teorizzata per spiegare gli effetti gravitazionali che osserviamo. Ma il problema della massa mancante non si limita alla ricerca di nuovi tipi di materia esotica, i nostri modelli dell’universo ci dicono anche che là fuori dovrebbe esserci, nascosta da qualche parte, il doppio circa di materia ordinaria (detta barionica) rispetto a quella osservata.

Due team indipendenti di ricercatori hanno trovato questa materia nascosta, fatta di particelle barioniche più che di materia oscura, individuandola in filamenti di gas caldo e diffuso che collegherebbero le galassie le une alle altre, proprio come in quei modelli in cui, a larga scala, l’universo viene immaginato come una grande spugna.

«Il problema della materia barionica mancante è risolto», almeno così sostiene Hideki Tanimura dell’Istituto di Astrofisica Spaziale di Orsay (Francia), a capo di uno dei gruppi. L’altro team di ricercatori è guidato da Anna de Graaff dell’Università di Edimburgo (Regno Unito).

L’ipotesi c’era, da molto tempo si pensava che la massa mancante fosse formata da gas e polveri “nascosti” tra una galassia e l’altra, ma nessuno era ancora stato in grado di “vederla” e portarne quindi una prova concreta.

Se si tratta di filamenti di gas, questo è così tenue e non abbastanza caldo che ancora nessun strumento, né sulla Terra né nello spazio, è in grado per il momento di osservarlo. «Fin’ora era pura speculazione» dice Richard Ellis dell’Università di Londra.

Come hanno quindi fatto questi due team a risolvere il mistero? Serviva un modo diverso per dimostrare definitivamente che questi ponti di gas esistono davvero, e quantificarne la materia contenuta. La soluzione è arrivata si dalle nostre attuali conoscenze dell’universo, e dai dati raccolti fin’ora, ma solo grazie a un espediente tanto semplice (si fa per dire) quanto ingegnoso.

Entrambe le squadre hanno approfittato di un fenomeno chiamato l’effetto Sunyaev-Zel’dovich, che si verifica quando la radiazione emessa dal Big Bang attraversa un gas caldo. Mentre la radiazione viaggia verso di noi, alcuni fotoni interagiscono e vengono diffusi dagli elettroni del gas che incontra, lasciando una tenue impronta nello fondo cosmico a microonde – quel residuo di energia che è la nostra istantanea della nascita dell’universo.

Grazie al satellite Planck, nel 2013 abbiamo ottenuto dati per realizzare una mappa di questo effetto in tutto l’universo osservabile, ma poiché questi ponti di gas tra galassie sono estremamente diffusi, poco densi, le loro deboli tracce non erano visibili.

E qui arriva l’espediente. Sempre in modo indipendente, i due team hanno selezionato numerose coppie di galassie, con struttura simile, che ci si aspettava potessero essere collegate da questi fili di materia barionica, estraendole dal catalogo della Sloan Digital Sky Survey dell’Osservatorio a Terra di Apache Point (New Mexico, Stati Uniti).  Hanno quindi sommato tra loro i segnali raccolti da Planck di quelle diverse aree (normalizzando in qualche modo i segnali delle varie coppie in modo da renderli sovrapponibili), riuscendo in questo modo a evidenziare le impronte di quei fili che, individualmente troppo deboli, sommate in massa una sull’altra sono finalmente “apparse” dando prova della loro esistenza.

Il team di Tanimura ha impilato l’una sull’altra 260.000 paia di galassie, trovando nel mezzo una densità di materia tre volte superiore a quella della materia ordinaria intergalattica, mentre il gruppo di de Graaff ne ha utilizzate oltre un milione per una densità risultante addirittura sei volte superiore al normale – valori diversi ma comunque sufficienti a dimostrare che i gas in quelle zone hanno una densità tale da poter formare dei filamenti.

Entrambe le squadre hanno trovato quindi la prova diretta definitiva dell’esistenza di filamenti di gas tra le galassie.

«Ci aspettiamo delle differenze (tra i risultati dei due team), dato che stiamo osservando filamenti a distanze diverse», spiega Tanimura. «Ma se si tiene conto di questo fattore, i nostri risultati sono sicuramente coerenti con i risultati dell’altro gruppo».

«Tutti sapevano che questa materia doveva essere lì, ma è la prima volta che qualcuno – e non uno, ma addirittura due gruppi di ricerca – l’ha definitivamente individuata», afferma Ralph Kraft presso il Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics di Massachusetts. La conferma dell’esistenza di questa materia, proprio perché predetta da decenni, porta anche a un’ulteriore convalida delle nostre ipotesi sull’universo, ed è questo il risultato più rilevante.
«Questo risultato è un enorme passo avanti nella dimostrazione che molte delle nostre idee su come si formano le galassie e come si è formata la struttura delle galassie nella storia del nostro Universo, sono praticamente corrette».

I due studi:

A Search for Warm/Hot Gas Filaments Between Pairs of SDSS Luminous Red Galaxies di Hideki Tanimura, Gary Hinshaw, Ian G. McCarthy, Ludovic Van Waerbeke, Yin-Zhe Ma, Alexander Mead, Alireza Hojjati, Tilman Tröster (arXiv: 1709.05024).

Missing baryons in the cosmic web revealed by the Sunyaev-Zel’dovich effect di Anna de Graaff, Yan-Chuan Cai, Catherine Heymans, John A. Peacock (arXiv: 1709.10378v1).


Alla Ricerca dei Pianeti Extrasolari. Da 52 Pegasi b a PLATO, alla ricerca amatoriale.

Coelum Astronomia 215 di ottobre 2017 è online, come sempre in formato digitale e gratuito…
Semplicemente qui sotto, lascia la tua mail (o clicca sulla X) e leggi!

L’indirizzo email verrà utilizzato solo per informare delle prossime uscite della rivista.

1 commento

  1. Tutto ciò fa parte del cosiddetto “vuoto” cosmico all’interno del quale la luce, non trovando “ostacoli” (come l’aria, l’acqua, etc.), si trasmette alla velocità di 300.000 Km./sec., come è stato ipotizzato fino ad oggi. Poichè viene dimostrato che il vuoto cosmico è pieno di materia, allora tale velocità è sicuramente limitata da questa materia, per cui vi è la possibilità che tale velocità può essere superata in zone dove tale materia risulta più rarefatta. Ma allora la relatività, fondata sulla impossibilità di raggiungere la velocità della luce per via della nota formula della equivalenza della energia con la massa a meno del quadrato della “c”, deve essere rivista e quantomeno si dovrà scomodare Newton per introdurre un fattore di correzione della velocità della luce dovuto all’attrito con la materia cosmica ovvero alle caratteristiche di tale mezzo che consente la propagazione delle onde stesse.